di Marco Travaglio per Il FQ, 28-01-20
Ancora una volta, come già sulla crisi del Papeete, sull’i mbarazzante confronto con Conte in Senato, sulla pretesa di votare subito a gentile richiesta, sul referendum salva-poltrone, sul caso Gregoretti, sulla citofonata al non-spacciatore e sulla spallata al governo con lussazione della spalla, Salvini si conferma un cazzaro.
Un Renzi modello 2016 che personalizza e polarizza lo scontro, coalizzando tutti gli altri contro se stesso. Un genio. Sono almeno sei mesi che non ne azzecca una, neppure per sbaglio.
E il voto in Emilia-Romagna è solo l’ultimo, impietoso selfie di un leader in grave stato confusionale. Persino gli elettori di destra, notoriamente di bocca buona, stomaco forte e memoria corta, cominciano timidamente ad accorgersene.
Tant’è che un anno fa i sondaggi lo davano intorno al 40% e oggi sotto il 30; e la Meloni e persino quel che resta di B. (nel Jurassic Parkcalabrese) lo rimontano.
Se il governo Conte dura e fa almeno benino per tre anni, il Salvini invincibile e onnipotente apparirà battibile e impotente. Chi saliva sul carro del vincitore ne scenderà precipitosamente.
E il pallone gonfiato continuerà a sgonfiarsi. A quel punto, solo i giallorosa potranno salvarlo. E potrebbero riuscirci benissimo. Ecco come, in quattro mosse.
Il Pd. Ci sono due letture del voto emiliano-romagnolo.
Quella corretta, suffragata dai fatti e dai numeri, è che Bonaccini ha vinto nascondendo il Pd, tenendo a distanza i leader nazionali, impostando tutta la campagna sull’esperienza regionale (unica in Italia), ottenendo i voti di molti 5Stelle in libera uscita (che mai voterebbero Pd alle Politiche) e approfittando del boom di affluenza dovuto alla mobilitazione delle Sardine e alla paura di Salvini.
Quella infondata è che: ha vinto il Pd, tornato alla “vocazione maggioritaria” veltroniana, dunque autosufficiente, perfetto così, senza bisogno di cambiamenti né di nome né di sostanza;
l’Emilia-Romagna rappresenta l’Italia (l’Umbria e la Calabria invece no), dunque il voto di domenica ha valenza nazionale, come diceva Salvini;
il “populismo” e il “sovranismo” che tracimarono dalle urne nel 2018 sono estinti; è tornato il vecchio bipolarismo Pd-Destra con Salvini&Meloni al posto di B.; dunque ora nel governo comanda il Pd, con le sue idee (quali?) e i 5Stelle devono obbedire, regalargli qualche ministero e ammainare le bandiere su prescrizione e Autostrade;
e, se non ci stanno, si sloggia Conte e si vota subito dopo il referendum di maggio, magari con una bella legge maggioritaria, pressando le Sardine in una listarella del 3-4%. Salvini non chiede di meglio.
Renzi. Non avendo partecipato al voto, non ha vinto né perso né pareggiato. Non c’era proprio, dunque non avrebbe titoli di parlare. Invece, dall’alto del suo 3 virgola qualcosa, continua a pontificare come se avesse ancora il 40,8. E lo stanno pure a sentire.
Gli basterà continuare a dire tutto il contrario degli alleati, a contestare e logorare Conte, a votare col centrodestra, a inciuciare con l’altro Matteo in rianimazione per destabilizzare ogni giorno il governo, cominciando dal voto di oggi sulla legge Costa che riesuma la prescrizione. Salvini non spera di meglio.
5Stelle. Dopo il capolavoro di allearsi col centrosinistra in una regione persa in partenza come l’Umbria e non in due regioni contendibili come la Calabria e soprattutto l’Emilia-Romagna, il M5S è riuscito nell’ardua impresa di portare i suoi voti a Bonaccini “gratis”, cioè senza un accordo che lo vincolasse a politiche meno cementificatorie e clientelari, più rispettose dell’ambiente e della legalità. E di apparire pure morti.
Ora l’unica strada per risorgere, in vista del congresso di marzo sul nuovo programma e la nuova leadership, sarebbe quella di mettersi nella scia di Conte, il politico più alto nei sondaggi, rivendicandolo come il loro premier, scelto due volte da Di Maio e Grillo;
preparare un nuovo contenitore di ambientalismo radicale e populismo pragmatico, per recuperare i milioni di astenuti e gli ex salviniani usciti dalla sbornia;
far tesoro dell’esperienza emiliano-calabrese per le prossime Regionali, proponendo un patto al Pd per sostenere un candidato forte e filogrillino come Emiliano in Puglia, magari in cambio di un patto giallorosa su un grillino in Campania, o comunque per sparigliare i giochi lì, in Toscana, nelle Marche con figure nuove, civiche, extra-partiti.
Non è detto che ci si riesca, ma vale la pena tentare.
L’alternativa è continuare a correre da soli per raccogliere le briciole dai derby regionali Destra-Pd. Che poi è il sogno di Salvini.
Salvinistra. I giornali della Salvinistra hanno già ricominciato a dispensare cattivi consigli e pessimi esempi: dopo aver profetizzato che il Pd, con Conte premier e i 5Stelle alleati, si sarebbe dissanguato, snaturato, contaminato fino a morte sicura (infatti…), ora lo aizzano a liberarsi del premier e del M5S con un rimpasto, o con le elezioni anticipate, o con una bella svolta a sinistra nell’agenda di governo: più migranti, più Ong (una Carola al giorno sarebbe il massimo), più prescrizione, più impunità travestita da “garantismo”, Ius Soli, via in blocco i decreti Sicurezza e magari pure No al referendum sul taglia-poltrone.
Così da spingere all’isolamento il M5S e dare al governo la famosa “a n ima”.
Cioè la vecchia spocchia dei “migliori” che ha messo in fuga milioni di elettori, rendendo invotabile il centrosinistra negli ultimi vent’anni. Salvini non osa chiedere tanto bendidio, ma solo per paura che non glielo regalino.
Nel caso, ricambierà l’omaggio con gli interessi. Come B., per vent’anni.
Ricordate Guzzanti nei panni di Rutelli? Ecco: “A Salvì, ricordati degli amici! Ricordati di chi ti ha voluto bene!”.