Editoriale di Marco Travaglio per Il FQ, 19-8-19
Saviano gli profetizza un futuro in galera.
E Salvini punta subito alla seminfermità mentale.
Spiace dissentire dall’amico Roberto, ma il destino del Cazzaro Verde non è il carcere: è una clinica psichiatrica.
Moderna, confortevole, possibilmente munita di esperti in bipolarismo, ma nel senso clinico del termine: tipico di uno che rovescia il governo e poi si convince di non averlo fatto, tradisce gli alleati e poi li accusa di tradimento, presenta una mozione di sfiducia a Conte e poi si dice pronto a votargli la fiducia, annuncia le dimissioni dei ministri leghisti (incluso se medesimo) e poi comunica che resterà barricato al Viminale (dove peraltro non c’è mai) per salvarci dal “ritorno di Renzi, Boschi e Lotti” ai quali ha spalancato le porte lui stesso.
Quel che è certo è che non possiamo più vederlo così, come si è mostrato ancora ieri in diretta Facebook: in stato confusionale, accovacciato nell’orto di casa Verdini, come colto da una necessità impellente da espletare dietro una frasca, a vaneggiare di elezioni immaginarie e di imprecisati “tavoli” per non pronunciare l’unica parola che gli sta davvero a cuore: “poltrone”.
Già, perché annunciando la crisi di governo il 7 agosto senz’avere pronta la mossa successiva e pensando che gli altri stessero lì ad aspettare i suoi comodi, non aveva calcolato neppure la conseguenza più scontata dell’insano gesto: se un partito esce da un governo, deve abbandonare tutto.
Ministeri, viceministeri, sottosegretariati, presidenze di commissione, uffici, auto blu, aerei blu, elicotteri blu, motoscooter blu. Lui invece pretende di restare nel governo che ha sfiduciato.
E s’illude pure, a causa di un’altra patologia psichiatrica chiamata proiezione, di convincere gli italiani che sono gli altri a volere “le poltrone”.
Del resto l’ossessione per la poltrona è tipica dei politici italiani che, salvo rare eccezioni, non hanno mai avuto un mestiere né lavorato in vita loro.
Tipo lui, che fa politica del 1990 a spese nostre, saltando dal consiglio comunale a quello regionale, dal Parlamento europeo a quello italiano su su fino al Viminale, senza mai toccare terra.
Ora il suo problema è effettivamente drammatico: se non è più vicepremier e ministro dell’Interno, e magari lo fanno fuori pure da capo della Lega, che fa?
Torna alla Ruota della fortuna?
E i suoi, quando sloggiano da cadreghe, poltrone e sofà di governo e sottogoverno, di che càmpano?
La sua somma sfortuna è stata di imbattersi in un tipo strano, che invece un mestiere l’ha sempre avuto e non avrebbe alcun problema a tornarci quanto prima: il prof. avv. Giuseppe Conte.
Che si comporta di conseguenza.
Quando il Cazzaro Verde è andato ad annunciargli la crisi per “capitalizzare il consenso”(quello dei sondaggi e dei like), non ha fatto nulla per trattenerlo: gli ha semplicemente illustrato la rovina a cui andava incontro (puntualmente verificatasi a stretto giro di posta).
E gli ha dato appuntamento in Parlamento, luogo a lui sconosciuto almeno quanto il Viminale.
Dopodichè, anzichè brigare notte e giorno per conservare l’ufficio a Palazzo Chigi o agguantarne un altro, magari autonominandosi elegantemente commissario europeo o candidandosi alla guida dei 5Stelle, il premier ha iniziato a preparare le valigie.
Un gesto che nessuno capisce.
Non solo l’Uomo Poltrona.
Ma nemmeno Renzi e Zingaretti che, non avendo mai sperimentato l’ebbrezza di un lavoro vero, ora pensano di “sistemare”Conte in Europa per mettere al suo posto qualche noto frequentatore di se stesso come il buon Raffaele Cantone, o qualche vecchia salma tecnocratica da far rimpiangere Monti.
Non lo capiscono nemmeno i giornaloni e i giornalini, che continuano ad accreditare la leggenda di “Conte in Europa”, manco fosse un pacco postale da affidare a un corriere espresso.
O la panzana di Conte che si butta a sinistra sui migranti di Open Arms per “dare un segnale al Pd”.
Non si sono nemmeno accorti che la politica governativa su migranti e Ong non l’ha cambiata Conte nell’ultima settimana.
L’ha cambiata Salvini, che prima faceva sbarcare minori, donne e malati, per poi tener bloccate le navi in attesa della disponibilità di altri Paesi alla redistribuzione e alla fine farle sbarcare alla chetichella (altro che “porti chiusi”).
Stavolta invece ha rifiutato di far sbarcare i minori fino a sabato, ha violato una sentenza del Tar e impedisce lo sbarco degli altri anche se sei paesi Ue sono disposti a prenderseli.
Il tutto per accreditare la leggenda del “dopo di me, l’invasione”.
Ma non c’è nulla da fare: politici e cronisti al seguito sono così disabituati ai politici liberi dall’ansia da poltrona, e dunque coerenti, che quando ne vedono uno non lo riconoscono.