Pur non essendo del tutto d’accordo val la pena leggerlo:
“Luigi Di Maio Di Maio è assediato da gente che si sente Gesù nel tempio, non può dare cattivi esempi, e dà pure pessimi consigli.
L’idea di alcuni professionisti del dissenso di farlo fuori da capo politico o da vicepremier è demenziale: chi ha portato i 5Stelle al 33% alle elezioni e poi al governo come primo partito ha tutto il diritto, e anche il dovere, di reggere la baracca per tutta la legislatura.
Anche perché al momento non si vede chi potrebbe sostituirlo.
L’idea che i 5Stelle debbano rovesciare, dall’oggi al domani, un governo così popolare per sostituirlo non si sa con cosa, o per rimandarci alle elezioni che porterebbero Salvini&B. a Palazzo Chigi, è ridicola.
Altri geni li rimproverano sia per l’eccessiva incoerenza sia per la troppa coerenza: sbagliano se dicono sì al Tap e all’ Ilva, sbagliano se dicono no al Tav, agli inceneritori, ad Autostrade e all’acqua privata, cioè sbagliano sempre.
I talk sono un continuo défilé di gente che si scaglia contro il reddito di cittadinanza perché dà soldi a chi non lavora, non fa crescere il Pil e non crea occupazione: peccato che sia studiato proprio per dare soldi a chi non lavora, e non per far crescere il Pil o per creare occupazione.
Altri lo criticano perché lo prenderanno in troppi, ma anche perché lo prenderanno in pochi, perché 7 miliardi sono troppi, ma sono anche troppo pochi.
Un po’ come la Spazzacorrotti, criticata perché non cambia nulla, ma se poi riesce a trattenere per qualche giorno in galera Formigoni condannato a starci per 5 anni e 10 mesi viene criticata lo stesso perché cambia troppo.
Manca solo che qualcuno proponga di cancellare il Reddito e la Spazzacorrotti perché, quando tira vento, gli alberi cadono.
Di questi cattivi consigli Di Maio può allegramente infischiarsi.
E tener conto che, se prende pesci in faccia dai media, cala nei sondaggi e perde voti, non è solo per i suoi errori, ma anche per i suoi meriti.
L ’importante è distinguere gli uni dagli altri.
Meglio fare cose giuste perdendo voti che non far nulla per guadagnarne (come fa Salvini): i voti portati dalla propaganda vanno e vengono, quelli conquistati con i fatti restano.
Poi ci sono gli errori e le ambiguità del M5S, che Massimo Cacciari ha illuminato ieri sul Fatto: quelli vanno corretti.
Certo, anche con la riorganizzazione annunciata ieri: riattivare i meet-up e ricominciare a discutere di politica e ad attirare gente valida sui territori eviterà di correre alle prossime Amministrative con candidati improvvisati o improbabili.
E consentirà ai sindaci di città semifallite, che hanno speso i primi tre anni a imparare sbagliando, di giocarsi il secondo mandato.
Ma soprattutto occorre tenersi pronti a quel che può accadere dopo il congresso Pd e le Europee.
La scelta non è fra il buttar giù il governo e il rassegnarsi all’avanzata leghista.
C’è pure una via di mezzo, che peraltro dovrebbe essere congeniale a un movimento nato nelle piazze: quella del partito di lotta e di governo.
Di Battista, al suo ritorno, aveva provato e, giocando di sponda con Di Maio, era riuscito a costringere Salvini a inseguire i 5Stelle su alcuni temi forti, anche se aveva scelto quelli meno appetitosi per gli elettori, come la campagna di Francia.
Di Maio&C. sono troppo giovani e non hanno vissuto il primo governo B., ma dovrebbero studiarne la storia.
Anche allora c’era un governo senza alternative, quello uscito dalle urne del 27 marzo ’94, che aveva costretto Bossi a un sacrificio simile a quello di Di Maio: governare con alleati – Berlusconi e Fini – politicamente e antropologicamente diversi da lui, ma inevitabili.
Il rapporto di Bossi con B. e Fini era identico, anche se numericamente più sbilanciato (la Lega Nord all’8,3% controil21diFIeil13,5diAn), rispetto a quello fra Di Maio e Salvini.
Eppure Bossi usò quei nove mesi per logorare i due alleati più forti, per affermare l’identità leghista anche a suon di insulti e agguati, bloccare le peggiori porcate berlusconiane (decreto Biondi e controriforma delle pensioni) e intrecciare alleanze alternative per il dopo.
Tant’è che B. cadde a dicembre per le mozioni di sfiducia di Lega, Pds e Ppi, che poi sostennero il nuovo governo Dini per un anno: il tempo di consentire alla Lega di rimontare sulla campagna (acquisti) di B. sul “tradimento” e il “ribaltone”.
Poi, alle elezioni del ’96, la Lega Nord tornò sola contro “Roma Polo e Roma Ulivo”, toccò il massimo storico del 10,7%, sventò la ma- novra annessionista di B. e lo cacciò all’opposizione.
In questi nove mesi, il M5S ha piantato un bel po’ delle sue bandierine: vitalizi, dl Dignità, ddl Spazzacorrotti (con blocca-prescrizione), via gli spot dei biscazzieri, via il bavaglio sulle intercettazioni, via la svuotacarceri, analisi e mozione anti-Tav, avvio del referendum propositivo, del taglio dei parlamentari e del Reddito.
Ma non hanno saputo raccontarlo, mentre Salvini è abilissimo a raccontare quel che fa (l’imbarazzante DL sicurezza e null’altro), ma soprattutto quel che non fa.
Raccontare e raccontarsi significa avere bravi comunicatori, ma soprattutto buone idee da comunicare, discutendo di politica oltre l’ordinaria am- ministrazione.
Così si evitano scelte suicide come il salva-Salvini via Rousseau.
Si riprende in mano la bandiera ambientalista, con i no alle opere inutili e i sì agli investimenti in manutenzione, riassetto del territorio, energie alternative, ciclo dei rifiuti.
E si spiega agl’italiani perché la sciagurata legge sulle autonomie, che moltiplica la catastrofe degli statuti speciali, va rifatta da zero su misura delle città, non delle regioni.
Se poi, da sinistra, arriverà qualche segnale di vita, tanto meglio: il Salvimaio avrà un’ alternativa che non sia il Salvisconi.
Se non arriverà, il M5S potrà imitare la Lega del ’96: tornerà da solo, ma attirerà voti anziché respingerli.”
Marco Travaglio, Il FQ, 27-02-19