di Tommaso Montanari che condivido con piacere
Molte sono le eredità della vicenda del Salone del Libro su cui continuare a riflettere: dalla conclamata ignavia degli editori (contestata dall’interno: le Edizioni del Gruppo Abele sono clamorosamente uscite dall’Associazione Italiana Editori, per esempio), all’imbarazzante paralisi del ministero per i Beni culturali, titolare del ‘marchio’ del Salone.
Su tutto, meno male, il risultato finale: soprattutto grazie alla serena determinatezza di Halina Birenbaum si è stati infine costretti a prendere atto dell’ovvio, e cioè che in questo Paese ci sono ancora molti cittadini (e perfino qualche intellettuale) che non accettano la convivenza con un ‘editore’ dal curriculum giudiziario e dal catalogo come quelli di Altaforte.
È stata una battaglia di opinione classica, basata sul pacifico rifiuto di essere complici: e alla fine la politica ne ha preso atto. Ebbene, mettiamo per un attimo tra parentesi le esitazioni, le ipocrisie, i penosi tentativi di nascondersi dietro l’autorità giudiziaria o di invocare a sproposito la libertà di espressione: e prendiamo atto dell’e p i l ogo.
Il presidente della Regione Piemonte e la sindaca di Torino hanno scritto che “tra le ragioni di una testimone attiva dell’Olocausto e quelle di Altaforte facciamo prevalere le prime, ricordando che Torino è stata insignita dalla medaglia d’oro al valor militare per la Resistenza contro il n az i fa s ci s mo ”.
Meglio tardi che mai!
Ora, il caso vuole che Sergio Chiamparino e Chiara Appendino appartengano a due forze, Pd e 5Stelle, che in particolare a Torino sono ferocemente agli antipodi.
Non sottovalutiamo la vicenda Tav, e tutti gli interessi e i princìpi che essa muove: a Torino un solco davvero profondo separa Pd e Lega da una parte, 5Stelle dall’altra.
Ebbene, come un terremoto capace di spostare il corso di un fiume, la cacciata dei fascisti dal Salone ha fatto invece il miracolo di collocare lo spartiacque tra 5Stelle e Pd da una parte, e Lega dall’altra.
E il Movimento, contrariamente a quanto si potrebbe pensare dall’esterno, non ha affatto subìto la scelta di Appendino: anzi, l’ha invocata dall’inizio (per esempio con forti dichiarazioni della capogruppo in consiglio comunale, Valentina Sganga).
Data la situazione politica nazionale, non sorprende che quasi nessuno abbia sottolineato il valore propriamente politico di questa nuova geometria torinese: che pure, invece, non solo esiste, ma è tanto più rilevante in quanto è fondata su un principio fondamentale come l’antifascismo.
ED È CHIARISSIMO il messaggio implicito contenuto nella lettera di Chiamparino e Appendino: la condanna senza mezzi termini verso un ministro dell’Interno, Matteo Salvini, che pubblica una autobiografia con un editore letteralmente impresentabile.
Messaggio politico che ieri Luigi Di Maio ha voluto a sorpresa rendere esplicito, dichiarando in televisione che il suo collega vicepremier ha sbagliato a pubblicare un libro con un editore fascista organico a una organizzazione (CasaPound) programmaticamente eversiva (il vocabolario è mio, la condanna è sua).
Ora, sappiamo bene che per uscire dallo stallo di questo governo, per espellere la Lega di Salvini dal controllo del Paese e per evitare il prevedibile epilogo di un governo ancora peggiore (Salvini-Berlusconi), l’unica strada praticabile sarebbe ancora quella che la cinica e isterica irresponsabilità di Renzi precluse dopo il 4 marzo 2018: e cioè un governo 5Stelle-Pd.
Non c’è chi non ne veda tutte le contraddizioni e le controindicazioni: un cumulo monumentale.
Ed è forte anche il rischio che, con un simile matrimonio di necessità, i rispettivi difetti (gravissimi) si sommino. Eppure, questa impervia e stretta strada continua a sembrare l’unica uscita possibile.
Chi crede che conti ancora qualcosa – oltre alle tattiche più o meno miopi, egoistiche e spesso suicidiarie, dei ‘capi’– il sentimento, se non l’orientamento, dei rispettivi elettorati, si chiede fin dall’inizio di questo governo se davvero la maggior parte della base 5Stelle si senta in sintonia con il ministro della paura, delle pistole e dei porti chiusi; e se questa sintonia è più forte dello schifo verso il Pd.
E, d’altra parte, si chiede se la maggior parte della base del Pd odii così radicalmente i 5Stelle da tenersi il ministro amico di CasaPound, piuttosto che aprire un dialogo con loro.
Non è questione del rispettivo essere o non essere di sinistra: nessuno dei due è in grado di fare un esame all’altro, in materia. Ma potrebbe essere, più profondamente, questione del senso del limite: della condivisione di una volontà di non oltrepassare un confine invalicabile.
A Torino è successo: Pd e 5Stelle hanno trovato la forza di dire, insieme, di no a Salvini e ai suoi amici fascisti.
Se ciò potesse innescare un processo di riflessione in quei due mondi sarebbe una buona notizia: meglio tardi che mai, una volta di più.