Appuntamento in Piazza Grande, piazza San Giustino.
In attesa della corriera ci s’imbucava nella tabaccheria all’angolo.
Qualche Nazionale senza filtro, in bustine, Giubek o Turmac o Macedonia o altro.
Peppinuccio fumava le Alfa per distinguersi, futuro fumatore di Gauloises.
Arrivavamo tutti alla spicciolata, erano i tempi che si andava a piedi, nessuno di noi aveva un mezzo di locomozione oltre la bicicletta.
Qualcuno neanche quella.
Alcune ragazze venivano accompagnate dai padri.
Tutti in jeans e maglioni sulle spalle, si respirava a pieni polmoni la primavera.
E poi arrivava la corriera e tutti dentro, felici per quella giornata tutta per noi, di stare insieme, di sentirsi meno soli.
Il viaggio.
La corriera, affittata da Marcello qualche giorno prima, ci avrebbe portato, come ogni lunedì di pasqua, ai prati di Tivo, sul Gran Sasso.
Ogni anno si pensava di andare in un luogo diverso ma poi ci si divideva troppo sui luoghi più diversi e si ripiegava sempre sul rassicurante prato di Tivo, e alla prima curva si attaccava “Amor dammi quel fazzolettino, amor dammi quel fazzolettino, amor dammi quel fazzolettino che alla fonte lo vado a lavar…”
Per poi proseguire durante il viaggio con Little darlin…
E quando si arrivava, la corriera ci lasciava soli, sarebbe tornata a prenderci nel pomeriggio, il panorama era così bello da mozzare il fiato, ci veniva spontaneo, ogni volta, attaccare un canto abruzzese, struggente.
Qualcuno di noi accennava l’inizio “So saiuto al lu Gran Sass’, so’ rimast’ ammutolit’…” da pelle d’oca già alla prima strofa…
e ci univamo tutti, intonati e stonati…ormai un rituale.
E poi prendevamo posto, si cazzeggiava, già tiravamo fuori quel che ci avevano cucinato madri premurose, cotolette, mealnzane alla parmigiana, frittate, pane e mortadella, mozzarelle, risotti e pasta ripassata con fondo croccante…e si beveva e si cantava.
Ragazze poche e di queste poche almeno tre erano già fidanzate con i nostri amici, il resto era la truppa dei maschi in calore.
Poi si ballava quando Luciano S. prendeva la chitarra e attaccava…
…anche Marcello, superfidanzatissimo con Giulianina, cantava bene e sapeva suonare la chitarra.
Non poteva certo mancare Celentano
L’inverno si organizzava sempre uno spettacolino a casa di amici dove noi ci esibivamo…e così l’estate.
E così la giornata del lunedì di pasqua.
La pasquetta passava veloce fra cori, coretti e controcanti.
Si raccontavano barzellette spinte omettendo parolacce per via delle ragazze.
Allusioni e strizzate d’occhio di complicità fra maschietti segaioli, risate isteriche e sceme.
All’epoca, prima del ’68, non si poteva ancora osare un linguaggio più disinvolto. Qualcuno dava ancora del Voi alla nonna…indovinate chi…
Le ragazze arrossivano facilmente, pudiche, occhi bassi e qualcuna faceva volare anche qualche schiaffetto sia pure per gioco.
Mentre loro, le pudiche, se ne raccontavano di “ogni” quando a scuola si prendevano per mano e si chiudevano nei cessi a sganasciarsi fra di loro.
Una mia parente acquisita, lo venni a sapere più tardi, faceva a gara di rutti con altre sue amiche e lei era considerata la principessina dei rutti!
Aaaah, che tempi… bei tempi di baldoria, dolce felicità fatta di niente… brindisi coi bicchieri colmi d’acqua… beh, non proprio colmi d’acqua con quel cerasuolo di Tollo.
Si tornava a casa stanchi ma felici…
E arrapati più di prima.
E sulla corriera, prima di arrivare a piazza Grande, s’intonava una canzone molto licenziosa che le ragazze, ormai ‘mbriachelle pure loro, ci permettevano…riproposta poi da Pietro Germi ne Il Ferroviere: Maria Nicola…
“Ti si fatt’ la vesta roscia co’ li soldi de lu fraccosce, Maria Nicole-a-aa, bella, chi te l’ha fatto fa’, eri na bella petecona, ti potevi maritàaa….”
E di quei lunedì mi resta solo il ricordo, ma va bene anche così, un ricordo che m’intenerisce e mi commuove…
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