di Stefano Feltri per Il FQ, 18-8-19
Per ora è un esperimento mentale, ma se il governo tra Cinque Stelle e Pd dovesse concretizzarsi, che programma avrebbe? Luigi Di Maio e soci hanno introdotto nella primavera 2018 il metodo del contratto, più leggero dei tradizionali accordi di coalizione. Non serve un’intesa generale, basta un accordo su alcune misure concrete.
Come si è visto, questo non disinnesca le tensioni tra i contraenti. Ma è l’unico metodo che i Cinque Stelle hanno elaborato per superare la loro antica promessa di non allearsi mai con nessuno. È quindi ragionevole pensare che lo applicheranno anche nelle trattative con il Pd.
L’esito non è scontato, perché dopo un anno di governo il M5S non ha più un programma (i punti salienti, bene o male, li ha realizzati) e il Pd non ce l’ha ancora, a sei mesi dalle primarie vinte da Nicola Zingaretti. Vediamo per punti dove ci sono affinità e problemi.
IVA E CONTI.
È il grande problema d’autunno: servono coperture per 23,7 miliardi oppure l’Iva aumenta dal primo gennaio 2020. I Cinque Stelle non hanno una ricetta, hanno sempre promesso che il rincaro non sarebbe scattato ma non hanno alcuna idea di come farlo, se non in deficit (come hanno fatto gli ultimi governi), ma questo farebbe scattare la procedura d’infrazione Ue. Nemmeno il Pd ha la bacchetta magica.
Matteo Renzi ha proposto di fondare l’accordo di coalizione su un aumento del deficit vicino al 3% per tre anni, con il via libera preventivo di Quirinale e ministero dell’Economia , ma non basterebbe a risolvere neppure il solo problema dell’Iva.
Pier Carlo Padoan, oggi deputato Pd, da ministro aveva valutato l’ipotesi di reperire almeno una parte delle risorse rivedendo il sistema delle tre aliquote (due agevolate). Si tratterebbe comunque di un aumento di tasse sui consumi che i Cinque Stelle potrebbero avallare soltanto nell’ipotesi che non ci siano poi elezioni a breve.
INFRASTRUTTURE.
Il Pd, specie negli ultimi anni, si è schierato in modo compatto per il Tav come simbolo delle infrastrutture da sbloccare per far ripartire la crescita, nonostante l’ormai acclarata inutilità dell’opera.
I Cinque Stelle hanno mal tollerato la decisione del premier Giuseppe Conte di dare il via libera all’opera e proprio la mozione sul tema ha innescato la crisi. Se rimanesse Conte premier anche con una maggioranza M5S-Pd, il dossier non verrebbe sicuraLa proposta Delrio mente riaperto. Con un nuovo presidente del Consiglio, la parte M5S più sensibile al tema potrebbe fare un tentativo.
Con scarse probabilità di successo. In ogni caso, sul resto dei progetti non ci sono vere divergente tra M5S e Pd: come ha denunciato l’economista Marco Ponti, consigliere (molto deluso) del ministro dei Trasporti Danilo Toninelli, c’è una sostanziale continuità tra governi Renzi-Gentiloni e quello Conte.
Tutte le opere ferroviarie, dal Terzo Valico alla Napoli-Bari a quelle in Sicilia, ottengono il via libera e i fondi del governo per ragioni di consenso, nessuno vuole preoccuparsi del fatto che i costi superino i benefici.
LAVORO.
Zingaretti ha dalla sua di aver fatto nel Lazio uno dei primi tentativi di regolare il settore dei rider. Sulla lotta alla precarietà il suo Pd non è molto distante dal M5S, che invece si percepisce agli antipodi dei tentativi di liberalizzazione renziana.
Sul salario minimo le posizioni sono diverse ma non inconciliabili: i Cinque Stelle vogliono una remunerazione oraria (9 euro) il più vincolante possibile, il Pd è contrario agli automatismi e difende il ruolo della contrattazione decentrata, oltre al primato dei contratti collettivi nazionali.
Un compromesso è possibile, soprattutto se si allarga la discussione al tema della rappresentanza, cioè a come limitare i contratti pirata, quelli firmati da organizzazioni sindacali poco o per nulla rappresentative.
Il Pd ha criticato molto anche il reddito di cittadinanza, per la dimensione assistenziale e perché sovrappone misure anti-povertà con le politiche attive per il lavoro.
Le prime sono partite (l’erogazione del sussidio), le seconde arrancano (il sistema dei navigator). Ma nell’alleanza col Pd i fondi già stanziati non sarebbero a rischio, mentre la Lega ha già detto di voler limitare la misura e i suoi costi.
MIGRANTI.
Il M5S ha sempre avuto posizioni più simili a quelle del Pd che a quelle della Lega. Ma dopo un anno di esecutivo gialloverde, le cose si sono complicate. Il Pd potrebbe chiedere ai Cinque Stelle di abolire subito i due decreti sicurezza salviniani?
E i Cinque Stelle direbbero di sì? Difficile. L’unica strategia sull’immigrazione per un governo M5S-Pd sarebbe quella di depotenziare il tema, di farlo scivolare più in basso nella lista delle priorità.
Sempre che la macchina della comunicazione salviniana, le Ong e i ricorsi alla Corte costituzionale sui decreti sicurezza lo consentano.
AUTONOMIE.
È destinato a rimanere uno dei dossier più incandescenti. I dem non possono insabbiare la questione senza scatenare la furia di Lombardia e Veneto e senza rischiare seriamente di perdere l’Emilia Romagna alle Regionali quando Stefano Bonaccini sfiderà Lucia Borgonzoni della Lega.
I Cinque Stelle hanno finora rallentato l’iter degli accordi governo-Regioni, ma non c’è una linea chiara sul punto.
EUROPA.
Sia M5S che Pd hanno votato la fiducia alla Commissione di Ursula Vonder Leyen, i voti dei Cinque Stelle sono stati decisivi.
Il Pd esprime il presidente dell’Europarlamento David Sassoli.
Le condizioni per costruire un rapporto positivo con Bruxelles sono quindi migliori rispetto a quelle della fase M5S-Lega, visto che Matteo Salvini ha schierato il suo partito all’opposizione della nuova Commissione.