Maurizio Belpietro: “Il lavoro nero del babbo di Renzi e gli affari in rosso di papa Boschi”
Speculando sulla denuncia di malefatte compiute dal padre di Di Maio, l’ex premier e l’ex sottosegretario spacciano i loro genitori per gigli di campo già assolti dalla magistratura. Ma le cose non stanno affatto così.
di Maurizio Belpietro – La Verità 27.11.2018 – Matteo Renzi e Maria Elena Boschi devono aver pensato domenica sera che fosse giunta l’ora di riscattare l’onore dei propri padri.
Così, dopo aver visto il servizio delle Iene sul papà di Luigi Di Maio, accusato di aver fatto lavorare in nero un dipendente quasi dieci anni fa, ieri si sono messi davanti al computer e hanno scatenato un’offensiva mediatica come non si vedeva dai tempi in cui il senatore semplice di Scandicci soggiornava a Palazzo Chigi.
L’ex segretario del Pd lo ha fatto via Facebook, denunciando la carapagna d’odio lanciata dai 5 stelle e dalla Lega contro il suo babbo. Come dire: adesso è il vostro turno e pareggiamo i conti.
Ma le vere inchieste sono sui paparini del Giglio magico
La Madonnina della Vald’Arno ha invece registrato un videoappello direttamente per Antonio Di Maio, spiegandogli di volerlo guardare negli occhi per augurargli di non vivere quello che «il figlio e i suoi amici» hanno fatto vivere a suo padre, «trascinato nel fango da una campagna creata» dai grillini.
Insomma, con la premessa di non voler augurare la stessa pena e di non voler approfittare del momento, i due dioscuri del Pd ieri ne hanno approfittato alla grande, nella speranza che le faccende di casa Di Maio abbiano lo stesso effetto che quelle di casa Renzi e casa Boschi hanno avuto in passato.
Il problema è che, nonostante l’offensiva lanciata su tutte le piattaforme social e rilanciata dagli esponenti del Pd in ogni dove e relativa richiesta di audizione in Parlamento, la vicenda del babbo del ministro del Lavoro, per quanto censurabile, non ha la rilevanza di quelle che riguardano i genitori dell’ex presidente del Consiglio e della di lui ministra delle Riforme.
Già, perché per quanto i giornaloni facciano a gara a gonfiare la questione dell’ex lavoratore assunto in nero da Antonio Di Maio e a minimizzare quelle di Renzi e compagni, è difficile mettere sullo stesso piano una serie di indagini giudiziarie che coinvolgono sia il papà dell’ex premier che il papà della Boschi con quella del padre del vicepremier grillino. Lo diciamo da cronisti poco propensi a fare sconti ai 5 stelle, ma basta leggersi le carte.
Non quelle che riguardano il genitore di Di Maio, che non ci sono perché la questione non è mai transitata da un tribunale e difficilmente vi approderà, ma quelle che vedono accusati dalle Procure due signori che, secondo il Pd, sono stati vittime di campagne politiche grilline.
Beh, visto che si parla di mancato rispetto dei contratti di lavoro, cominciamo da Tiziano Renzi. Il 9 febbraio del 2013, l’edizione genovese di Repubblica titola: «Malato e truffato sale sulla gru». Occhiello: «Vince la causa, ma il datore di lavoro non paga. E lui minaccia il suicidio».
A volerla fare finita è un nigeriano che lavorava per un’azienda di distribuzione di giornali. Repubblica non lo dice ma la società si chiama, o meglio si chiamava visto che poi è stata inghiottita da una liquidazione, Arturo srl, e il datore di lavoro che non pagava rispondeva al nome di Tiziano Renzi.
Secondo i giudici, la Arturo doveva 90.000 euro al dipendente, ma il nigeriano, nonostante avesse ottenuto una sentenza favorevole, non era stato pagato e dunque si voleva buttare giù da 30 metri.
Ci sono almeno altri due dipendenti della Chil, la stessa di cui era dirigente Matteo Renzi, che pure sono stati licenziati non ricevendo il becco di un quattrino. Senza dimenticare, poi, la girandola di società aperte e chiuse, con appalti e subappalti, di cui si è occupata e ancora si sta occupando la magistratura.
Al momento babbo Renzi, colui che sarebbe vittima di una campagna d’odio, è in attesa di una decisione del giudice sul caso Consip e sulla richiesta di archiviazione della Procura di Roma, mentre a Firenze è rinviato a giudizio insieme con la moglie per fatture false.
La signora, madre di Renzi, è indagata a Cuneo per una vicenda di aziende finite a gambe all’aria e alcuni atti sono stati inviati anche alla Procura di Genova per competenza.
Babbo e mamma sono pure indagati per il fallimento di una cooperativa fiorentina. Si può dunque parlare di campagna d’odio politica grillina come fa Renzi? No, forse solo di inchieste giudiziarie che attendono ancora una risposta.
E ora veniamo a Pierluigi Boschi, altra vittima della furia pentastellata. Come è noto, il padre della ministra è finito nel mirino per il fallimento della Banca dell’Etruria di cui era vicepresidente.
AI momento, nonostante le lacrime della figlia, dopo alcune archiviazioni risulta ancora indagato per un ramo d’indagine riguardante la bancarotta, mentre pare chiusa con una multa all’erario – ma solo perchè sotto una certa soglia – una faccenda di compravendita immobiliare che era finita nel mirino della Procura.
Quanto poi ai rapporti con Flavio Carboni, noto bancarottiere e massone chiamato in causa per risollevare le sorti della banca toscana, c’è poco da dire: siamo ancora in attesa di sapere perché, mentre l’istituto di credito affondava, trascinando con sé i risparmi di migliaia di famiglie, Pierluigi Boschi trattasse con lui.
Cioè con uno che era accusato di appartenere alla P3. Chissà, visto che ora il Pd chiede audizioni parlamentari di Di Maio e dintorni, potrebbe essere la volta buona.