di Stefano Feltri, Il FQ, 07-05-19
“Secondo i dati Caf, 130mila persone rinunceranno al reddito di cittadinanza perché gli importi sono troppo bassi e non quelli annunciati in campagna elettorale,l’ennesima sconfitta di @luigidimaio e
@matteo-salvinimi”, scrive su Twitter Debora Serracchiani, ex governatrice del Friuli e ora vicesegretario del Pd.
Non è l’unica ad aver rilanciato un dato che, al momento, non esiste. È una stima molto vaga citata da un articolo del Messaggero di domenica che si basa su una catena di ipotesi tutte da dimostrare:
a)che ci siano molte persone scontente degli importi assegnati come reddito di cittadinanza, sulla base della documentazione presentata;
b) che queste persone preferiscano rinunciare a tali somme piuttosto che entrare nel programma di formazione professionale e rispettarne gli obblighi;
c) questi beneficiari scontenti facciano effettivamente domanda per la rinuncia. Lo stesso Messaggero chiarisce che non esistono neppure le procedure per la rinuncia al reddito, forse saranno pronte nelle prossime settimane.
Le ipotesi del Messaggero sono fragili: chi riceve somme basse è la minoranza dei richiedenti che ha redditi o patrimoni relativamente più elevati, sono cioè i meno bisognosi.
E riqualificare e mettere in condizione di trovare un lavoro chi è in una situazione di povertà meno grave è, a parità delle altre variabili, più semplice che aiutare un povero cronico, con redditi molto lontani dalla soglia della sopravvivenza.
I beneficiari di importi bassi sono, insomma, quelli che potrebbero trarre i maggiori benefici da un programma di formazione (pubblico, coi centri per l’impiego e privato con le agenzie) che dà priorità a chi è più facilmente impiegabile.
Chi volesse poi rinunciare al beneficio, dovrebbe anche restituire quanto già incassato.
E gli studi di economia comportamentale dimostrano che rinunciare a soldi già nella nostra disponibilità è più difficile che accettare la perdita di incassi futuri.”