“Ci sono molte cose orribili che si possono fare, per ripicca, quando finisce una relazione: le ritorsioni economiche, le strumentalizzazioni dei figli, l’attacco alla reputazione dell ’altro, nuove relazioni con i migliori amici del coniuge.
Perfino sgangherate e feroci alleanze con i nemici dell’ex.
La cronaca ci regala fulgidi esempi (…).
POI ARRIVA il marito di Cécile Kyenge, Domenico Crispino, e allarga quella forbice, perché ciò che fa è a un livello di mestizia così strabordante, che non lo si può tacere.
L’ex ministro Cécile Kyenge è sposata con lui dal 1994 e da lui ha avuto due figlie ormai grandi. Venticinque anni insieme vuol dire aver partecipato intensamente alla vita dell’altro, aver visto gli inciampi e le difficoltà, conoscere i punti deboli, le piaghe scoperte della persona che hai avuto accanto per un quarto di secolo.
Non sarà sfuggito, a quel gran signore di Crispino, il fango misto a materiale organico che ha travolto sua morazzisti nati sul web sono stati dedicati a lei.
La Kyenge che mangia la banana, la Kyenge col corpo di un gorilla, la Kyenge in una gabbia allo zoo. E fin qui, ordinaria amministrazione, purtroppo.
POI HANNO INIZIATO i politici, quasi tutti rigorosamente leghisti. Ci fu l’assessore bresciano Agostino Pedrali che postò su Facebook una foto delle Kyenge accanto a quella di una scimmia e il titolo “Separate alla nascita”.
Per poi insistere col commento: “Dite quello che volete, non assomiglia a un orango?”.
La Kyenge lo querelò, lui si beccò due anni di reclusione e dovette dare le dimissioni. Ci fu il senatore della Lega Roberto Calderoli che sottolineò lo stesso concetto durante la festa della Lega Nord di Treviglio. “Quando vedo la Kyenge penso a un orango”, disse.
La Kyenge, invece, quando vide il filmato di Calderoli pensò a un tribunale.
Calderoli è stato condannato a un anno e sei mesi di reclusione il 14 gennaio di quest’anno.
L’eurodeputato leghista Mario Borghezio, a cui evidentemente pareva brutto avere un pensiero leggermente più evoluto degli esimi colleghi, ai tempi si fece intervistare da quella tiepida culla radiofonica di civiltà e battaglie culturali denominata La Zanzara.
Disse “Il governo del Bonga Bonga” , “Il ministro Kyenge vuole portare le sue tradizioni tribali in Italia”, “Kyenge fa il medico, le abbiamo dato un posto in una Asl che è stato tolto a qualche medico italiano“, aggiungendo che noi italiani “non siamo congolesi, abbiamo un diritto millenario”.
Il giudice, che invece non amava le discriminazioni, lo trattò come furono trattati in tribunale i leghisti della sua stessa specie: fu condannato per diffamazione aggravata dalla finalità di odio razziale e a una multa di mille euro.
Stessa sorte toccò anche segretario della Lega Nord in Emilia, Fabio Rainieri, vicepresidente dell’Assemblea legislativa Emilia Romagna, condannato dal tribunale di Roma a un anno e tre mesi per aver pubblicato su Facebook una foto della Kyenge con la testa di scimmia.
Matteo Salvini – manco a dirlo – lo difese pubblicamente, dicendo che era diritto di satira. Un simpatico burlone insomma. #JesuisFabio Rainieri. La Kyenge, nella sua battaglia contro il razzismo, è sempre stata ammirevole. E implacabile.
Perfino quando le è capitato forse il passaggio più mortificante, quello di essere denunciata lei da Matteo Salvini e dalla Lega perché durante una festa dell’Unità a Parma osò condividere un pensiero privo di aderenza con la realtà e senza radici autobiografiche: “La Lega è razzista”.
LA KYENGE DECISE di rinunciare all’immunità parlamentare e dopo due archiviazioni, uno zelante pm aprì un processo iniziato nel 2018. Immagino la difficoltà nel trovare prove a supporto della sua strampalata, azzardata tesi. Immagino questo processo in cui da una parte c’è lei e dall’altra il ministro che cantava “Senti che puzza i napoletani…” che dice “La Lega non è razzista” (sottotesto: è lei che è nera).
Insomma, tutto questo per dire che negli anni quel gentiluomo del marito avrà vissuto, condiviso, sofferto con lei e le loro figlie quest’ondata di ignoranza cattiva e mortificante. Poi qualcosa nel loro matrimonio non funziona più e lui a quel punto cosa fa?
Rilascia un’intervista cattiva a Libero? Corteggia la vicina di casa? Si tinge i capelli e va a in balera? No.
Racconta a La Zanzara – sempre quel tempio serafico di discussioni garbate –che si candida con la Lega alle Comunali di Castelfranco Emilia.
Specifica che nella Lega ci sono tante persone perbene. Che sua moglie fa la sua strada, lui la sua. Che sì, qualcuno le ha detto orango ma non ricorda bene chi, se Borghezio o Calderoli. Che è sua moglie quella che fa fatica a dimenticare perché ora ha la scorta per quelle cose lì e non è un bel vivere.
LA KYENGE, che forse in quel momento rivaluta perfino la squisita signorilità di Calderoli, rilascia un comunicato laconico in cui afferma “Comprendo lo sgomento di tutti, ma per quanto mi riguarda è proprio il caso di dire che non c’è nessuna novità rilevante, salvo il fatto che si sta finalmente avvicinando la data dell’udienza davanti al giudice per la fine del nostro matrimonio; udienza da me richiesta ormai mesi fa”.
Che poi era un modo elegante per dire: “Chi fosse mio marito lo sapevo già”.
Ecco. Tornando alla tesi iniziale, ci sono molti modi per far finire un matrimonio.
Oggi, grazie al signor Domenico Crispino, ne conosciamo uno in più: trascorrere 25 anni con una donna che subisce una delle campagne più razziste e triviali della storia della politica italiana e perdere l’occasione di diventare non un marito migliore, ma un uomo migliore.
Uno che non è più complice di sua moglie nella quotidianità, ma che resta suo complice nella dura battaglia che lei ha combattuto in questi anni di umiliazioni e avvilimenti.
Per un principio, per se stessa e per le loro figlie.”
Stralci da un articolo di Selvaggia Lucarelli, Il FQ, 7-02-19