di Tommaso Rodano per Il FQ, 9-10-19
Alla fine è un plebiscito.
Con una seduta di psicanalisi collettiva, la Camera taglia sé stessa.
Lo fa con una maggioranza bulgara, con pochi precedenti: 553 favorevoli, 14 contrari e 2 astenuti. Alla quarta e ultima lettura, la riforma costituzionale voluta dai Cinque Stelle fa il pieno, ora è legge dello Stato.
Dalla prossima legislatura il numero dei parlamentari sarà ridotto di oltre un terzo: la Camera passa da 630 a 400, il Senato da 315 a 200; nel complesso si scende da 946 a 600 eletti.
A parte +Europa e alcuni “cani sciolti”la votano tutti. Ma proprio tutti: M5S, Pd, Italia Viva, Leu, Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia. Senza alcuna distinzione: quelli che prima erano contrari e ora sono favorevoli; quelli che prima erano in maggioranza e ora sono all’opposizione, quelli a cui piace e quelli a cui fa schifo.
LA SCHIZOFRENIA degli onorevoli non è tanto nell’au to m ut il a zi on e (molti perderanno il posto nella prossima legislatura) ma nell’i ncredibile rituale che l’accompagna. Nelle tre ore di dibattito sulla legge piovono critiche da destra, centro e sinistra (esclusi ovviamente i Cinque Stelle).
Chi prende la parola ne descrive i limiti e gli aspetti critici. Quasi tutti sostengono che sia una norma demagogica, che crea problemi invece di risolverli. Ma alla fine dicono sì. Quando si illumina il monitor della votazione si accende un mare omogeneo di luci verdi: l’impatto cromatico è davvero inconsueto.
Il più lucido nel descrivere questo gesto di dissociazione collettiva è Simone Baldelli di Forza Italia: “Tutti gli interventi che ho ascoltato, per la loro consequenzialità logica, porterebbero a votare contro; non fanno altro che enumerare le mille ragioni per cui bisognerebbe votare contro. E invece alla fine c’è dichiarazione di voto a favore”.
Il quadro è chiaro: i Cinque Stelle hanno voluto e imposto questa legge, gli altri vanno a traino: Pd, LeU e i renziani per “lealtà”, ovvero perché hanno un accordo con i grillini da cui dipende la tenuta del nuovo governo. La Lega perché in origine era nella maggioranza che aveva presentato la riforma (votandola nelle prime tre letture).
Fratelli d’Italia e Forza Italia, perché non potevano mettere la faccia su un rifiuto che avrebbe “puzzato di Casta”.
COSÌ PRENDE forma il plebiscito riluttante.
Il più scisso di tutti è il renziano Roberto Giachetti. Non è una novità: in passato – per “disciplina di partito”– aveva votato pure contro sé stesso, ovvero contro la legge sulle droghe leggere di cui era primo firmatario.
Stavolta si supera: dice sì al taglio dei parlamentari ma allo stesso tempo si dichiara contrario e annuncia che da oggi raccoglierà le firme per il referendum confermativo. Anzi: “Se ci saranno le firme necessarie costituirò un comitato per il no a questa riforma”.
Nell’assurdo dibattito della Camera – cui assiste anche il premier Giuseppe Conte – non mancano momenti di puro teatro, come quello regalato dall’ex grillino Matteo Dall’Osso (ora in Forza Italia): “Sono proprio felice! Ma sono felice, felice, felice! Siete tutti qua, ma veramente, siete qualcosa di veramente meraviglioso! Voi vi volete castrare da soli, siete fantastici, ma veramente!”.
Oppure quello dell’esimio Giorgio Silli, che annuncia il prezioso voto favorevole del gruppo “Cambiamo! – 10 Volte Meglio”, una micro componente del Misto (e poi passa 10 minuti a smontare la legge pezzo per pezzo).
Alcuni sbraitano (specie Sgarbi che parla di “stupro della democrazia” alludendo alla presunta violenza del figlio di Beppe Grillo), molti sbuffano, tutti alla fine dicono sì.
Gli unici a esultare sono i deputati del Movimento Cinque Stelle, che festeggiano in piazza con paio di grandi forbici di cartone che tagliano un manifesto pieno di poltrone.
Sgarbi contro con rabbia: