di Lorenzo Giarelli per Il FQ, 14-9-19
Si vedrà “territorio per territorio”, ma sull’alleanza coi 5 Stelle “non bisogna avere paura di tentare”.
Dopo gli ammiccamenti dei giorni scorsi, è il segretario del Pd Nicola Zingaretti a ribadire la linea sulla possibile intesa Pd-M5S nelle prossime elezioni regionali, caldeggiata prima di tutto per evitare, sulla scia di quanto avvenuto a Roma, l’avanzata leghista alle urne.
Ieri Zingaretti ha prima negato l’esistenza di trattative, già confermate invece da più voci all’interno dello stesso Pd, per poi rilanciare quanto già auspicato a mezzo stampa da alcuni big come Dario Franceschini e Francesco Boccia: “Penso che dovremmo tentare. Se si è fatto un tentativo per governare il Paese perché non tentare, rispettando le autonomie dei territori?”.
È LA LINEA della maggioranza del partito, sposata ieri anche dal sindaco di Milano Beppe Sala che però, fiutando l’aria, ha suggerito una certa prudenza nelle dichiarazioni: “Sconsiglio di parlare di alleanze a livello locale con il Movimento, ma non vuol dire che sconsiglio di farle. Ci sono molti punti di convergenza su tanti temi”.
Parole non casuali, perché in effetti il nodo delle intese regionali è l’ennesimo motivo di divergenze all’interno del Pd, incapace al momento di trovare una sintesi.
Ieri per tutto il giorno il partito è andato in ordine sparso, evidenziando però forti frenate sull’accordo da parte dei renziani.
Proprio le truppe dell’ex premier, che un mese fa avevano fatto di tutto per trattare coi 5 Stelle per il governo, ora sono le più prudenti, complici la difficoltà personali di molti di loro a legittimare un’alleanza che in questo caso non ha poltrone da salvare e che potrebbe essere controproducente in caso di futura scissione centrista.
Maria Elena Boschi, per esempio, ha già bocciato l’idea: “Onestamente mi lascia molto perplessa questa possibilità che alcuni esponenti del nostro partito hanno tracciato. A me lascia molti dubbi: un conto è governare insieme per far fronte a un’emergenza vera e propria, un altro conto è immaginare un’alleanza più strutturata e di programma”.
COSÌ ANCHE il neoministro Lorenzo Guerini, uno dei leader di Base Riformista, il gruppone di Luca Lotti che si differenzia dai renziani puri e duri come Roberto Giachetti, Anna Ascani e la stessa Boschi: “Bisogna essere molto prudenti. Questo governo è nato in una situazione particolare, da un’emergenza che il Paese è stato chiamato a fronteggiare. Far scaturire da qui nuovi equilibri politici penso sia molto prematuro e possa anche avere il rischio di una forzatura”.
I tempi per trovare la quadra, però, stringono. In Umbria da tempo Walter Verini, commissario dem nominato dopo il disastro della giunta di Catiuscia Marini, lavora per l’accordo, ma restano solo un paio di settimane per presentare le liste e l’accordo coi 5 Stelle ancora non c’è.
Ieri ci ha provato Marina Sereni, appena nominata viceministro degli Esteri, a lanciare un amo: “In Umbria il Pd appoggia un candidato civico (Andrea Fora, nda), che porta avanti molti temi affini a quelli del M5S. Ho ancora delle speranze che si possa trovare un accordo anche con loro”. Dopo l’Umbria toccherà all’Emilia-Romagna, dove gli zingarettiani contano che le possibilità di alleanza aumentino: lì i 5 Stelle – ragionano – potrebbero accettare di unirsi a un centrosinistra già forte, scongiurando il fatto che Salvini si prenda anche l’ultimo pezzo di Nord Italia tinto di rosso.
STEFANO Bonaccini, eletto coi dem cinque anni fa non chiude la porta ai 5 Stelle: “Penso che faremmo bene a chiedere al M5S di riflettere se non sia il caso di dialogare sui programmi”.
Un invito a mettere al centro i temi, dando però per scontato che il candidato sarà proprio il governatore uscente.
Non il modo più amichevole per avallare i negoziati.