Pomicino, ‘o ministro dalle 7 vite, il nuovo “compagno”
Stralcio di un articolo di Enrico Fierro, Il FQ, 15-05-19
“(…)
Come dimenticare quel pomeriggio di marzo a Napoli, uffici e studi della sede Rai, il “ciuccio” giocava una delle sue partite più importanti, ’o ministro e un codazzo di amici e clienti aveva deciso di vedere in differita il match. Bussò alla porta.
Gli addetti alla vigilanza consultarono i funzionari ai piani alti, ma Pomicino non aveva tempo da perdere e soprattutto non voleva sfigurare con i suoi clienti. E allora sbottò, tirò un calcio al portone e fece un ingresso trionfale al grido di “Guagliù, mo’ t rasimme tutti quanti, la Rai è di tutti, non è vero?”.
Di tutto e di più era il potere in Italia in quegli anni. E la politica, malattia che attirò fin da giovane il futuro braccio destro di Andreotti.
Iscritto giovanissimo alla Dc, diventò assessore comunale a Napoli negli anni Settanta. Gavetta e voti, che lo portarono nel ’76 alla Camera. Lo scranno si riprodusse nel tempo, fino al 1992.
Voti, strappati uno ad uno, conquistati in quel Vietnam delle preferenze che era la Napoli di Antonio Gava e Alfredo Vito, mister centomila voti.
“Ho portato più soldi io a Napoli di quanti ne sono arrivati dall’Unità d’Italia ad oggi”, replicò ai giornalisti che lo accusavano di usare metodi clientelari.
La sua arma di distruzione di massa, soprattutto delle finanze pubbliche, fu la Commissione Bilancio della Camera.
Un centro di potere dove Pomicino occupò la presidenza dal 1983 al 1987.
DAI SUOI UFFICI passavano le voci più significative della spesa pubblica.
Una manna per amici imprenditori, sindaci, presidenti di provincia, capataz nelle regioni. Soprattutto del Sud.
Un trampolino di lancio per conquistare ministeri importati, quello della Funzione pubblica nel governo De Mita (1988-1989) e del Bilancio col governo del suo punto di riferimento politico Giulio Andreotti, 1989-1992.
Ma ritenere che Paolo Cirino Pomicino sia stato solo il capo di un sistema clientelare corrotto, è sbagliato. ’O ministro aveva in mente la disarticolazione, anche dal punto di vista culturale, dell’avversario.
I soldi degli “amici” gli servivano per finanziare giornali e riviste.
Sono passati decenni, ma sul suo mensile Itinerario scrivevano economisti di sinistra, giornalisti vicini anche al Pci, fior di intellettuali.
POMICINO ha sette vite perché ha attraversato gli alti e i bassi della vita. Il potere e “Mani Pulite”. 42 processi, il carcere, le assoluzioni e le prescrizioni, le riabilitazioni. Un ciclone che avrebbe ammazzato un toro o consigliato un dignitoso ritiro dalle scene.
Ma il viceré non è uomo da giardinetti, nel 2004 si candidò alle Europee con Clemente Mastella e rastrellò 42mila voti. Una città. Con il ritorno in campo di Pomicino la Prima Repubblica sfiora l’eternità.
E allora auguri a Zingaretti e al suo Pd che hanno scelto di correre con lui.”
Da “Il Divo” di Sorrentino: