Una disfatta. Anzi, come riassume un big “un disastro”, che fa rima con processo. Tutto per lui, per il capo che probabilmente finirà terzo.
Quel Luigi Di Maio che resta zitto fino a notte tarda dentro Montecitorio con i capigruppo e un po’ di graduati di governo, nella sala Tatarella che pare un fortino, mentre Matteo Salvini già festeggia, già ringrazia, perché “la Lega è il primo partito”.
Invece il Movimento sprofonda dietro il Pd, addirittura sotto il 20 per cento. Perché gli exit poll delle 23 della Swg erano già stati una spietata sentenza, con i dem al 23 per cento e i 5Stelle solo al 20,5, sotto al dato già fosco delle Europee del 2014.
MA LE PRIME proiezioni della mezzanotte sono perfino peggio, con i 5Stelle a un catastrofico 19,6 per cento, il Pd al 21,7 e Salvini al 32 per cento.
Un tonfo che echeggia nella sala della Lupa, dove tra arazzi e marmi telecamere e cronisti aspettano un segnale di vita dai 5Stelle.
Ma arriva solo il portavoce di Palazzo Chigi, Rocco Casalino, con un po’di colleghi dell’ufficio stampa. “Parleremo a spoglio ampiamente in corso” è il messaggio.
Cioè si prende tempo, nella speranza che con il passare delle ore la notte diventi un po’meno buia, ossia che il Pd diventi agganciabile.
Però le chat interne grondano malessere, con un candidato alle Europee che già reclama il tributo di sangue: “In un Paese normale Di Maio dovrebbe dimettersi stasera”.
L’onda del malessere, contro il capo che troppo spesso è stato autocrate. Perché è stato lui a calare da lassù cinque capolista esterne, per l’ira degli europarlamentari uscenti e di tanti candidati.
“Anche venerdì al comizio finale a Roma hanno parlato solo loro”ricorda un veterano in lista. Veleni che potrebbero essere i primi germi di un processo al leader che quasi tutto ha deciso e che molto potrebbe aver sbagliato. Per esempio, potrebbe aver sovrastimato la ricaduta nelle urne del reddito di cittadinanza. Il totem del Movimento, che doveva portare percentuali da vittoria, e invece no.
Lo riconoscono gli stessi 5Stelle: “Il Sud non è andato a votare, quindi il reddito non ha funzionato”. Perché speravano nel traino della loro abituale riserva di caccia, ai piani alti.
Consapevoli che al Nord sarebbe andata male, visto che sondaggi e stime informali interne raccontavano di un M5S sotto il 15 per cento in tutto il Nord Ovest.
Guai che rimbalzano sul silenzio del Movimento asserragliato alla Camera. “Sono disperati” racconta un deputato che compulsa i maggiorenti tramite sms.
Di Maio, rinchiuso con Alfonso Bonafede, Laura Castelli, Stefano Buffagni e altri big riflette su come ripartire.
Ma già pare di sentire il rumore di Salvini, mentre al primo vertice governo porta al tavolo la nuova agenda dell’esecutivo.
Un menu tutto in salsa leghista, con flat tax, autonomie e decreto sicurezza. E poi magari separazione delle carriere per i magistrati e revisione dell’abuso di ufficio.
Così al Di Maio più che indebolito non resterà che rivendicare quanto già rammentato nell’ultimo comizio di tre giorni fa: “La maggioranza in Parlamento e in Consiglio dei ministri ce l’abbiamo noi”.
Però da oggi si apre un’altra partita.
Anche dentro il Movimento, “perché a Luigi presenteranno il conto”profetizza un parlamentare. Ergo, arriverà un’a s s e mblea congiunta, in cui gli chiederanno innanzitutto di delegate e spartire un bel pezzo del suo potere.
Quindi di varare in fretta una vera segreteria politica, nel quadro di una riorganizzazione congelata per le urne, ma ora urgente. Ma ora sulla graticola c’è anche lui, il vicepremier, capo politico per i prossimi tre anni (rinnovabili) da Statuto, e non è un dettaglio.
E C’È ANCHE Alessandro Di Battista, che ha una voglia di matta di rientrare in gioco. Un possibile nuovo capo, per un pezzo rilevante di base e una porzione di eletti.
Anche se lui, giurava e giura, non vuole detronizzare Di Maio, il quale anzi potrebbe appoggiarsi all’ex deputato per resistere, a patto però di riprenderlo nella stanza dei bottoni, con facoltà di incidere.
Poi però c’è anche Roberto Fico, che potrebbe avere gioco facile nel rimproverare al capo di aver concesso troppo al Carroccio sull’immigrazione.
E che non ha dimenticato il processo risparmiato a Salvini per il caso Diciotti, ferita che non si è rimarginata anche per un altro veterano come il presidente dell’Anti-mafia Nicola Morra.
Non certo dimaiano, nel Movimento dove da oggi tirerà brutta aria. Un’aria da processo.”