di Antonio Padellaro, Il FQ, 20-02-19
“Derogare per comandare.
Non è una battuta ma la sostanza politica del cambiamento in atto nel M5S. Con quel 60% sulla piattaforma Rousseau che ha salvato Matteo Salvini, Luigi Di Maio ha rafforzato in modo decisivo l’asse di governo con la Lega.
E pazienza se la cosa potrà non piacere al restante 40% degli iscritti.
Si è detto tante volte che all’origine di alcune ambiguità del M5S c’era il voler apparire allo stesso tempo forza di lotta e di governo.
Scegliendo di indossare un giorno i jeans e il giorno dopo il doppiopetto (e qualche volta il doppiopetto sui jeans), sulla base delle convenienze del momento.
C’È UN’IMMAGINE che ha immortalato quella rivendicata doppiezza: la famosa balconata del settembre scorso con cui, terminato il Consiglio dei ministri sul deficit di bilancio al 2,4%, il capo politico annunciò che c’erano i soldi per l’abolizione della povertà.
Uscita oggetto di scherno ma che esaltava l’attimo fuggente, quasi adolescenziale e un po’ sessantottino del vogliamo tutto e subito.
Sono trascorsi sei mesi e dopo il 2,04 imposto da Bruxelles, dopo i ripensamenti per necessità di cose (e di penali) su Ilva, Tap e Terzo Va- lico, dopo i sondaggi in picchiata e il voto dimezzato in Abruzzo, i 5Stelle (maggioranza Di Maio) hanno scelto: meglio il governo.
Lasciando “all’opposizione” delle origini quel 40% che guarda soprattutto al presidente della Camera, Roberto Fico.
Una spaccatura che potrà ripercuotersi sui gruppi parlamentari dando vita a due movimenti in uno?
O che sarà riassorbita dall’urgenza di presentarsi con unità di facciata allo show down delle prossime Europee?
Difficile dirlo ma una cosa emerge con certezza dopo la conta di lunedì: la “prova d’amore” sulla Diciotti ha consolidato l’asse tra i due tribuni della plebe rilanciando il Salvimaio che potrebbe perfino superare indenne il test del 26 maggio.
Per almeno tre ragioni.
1) L’eccellente rapporto personale tra i due vicepremier. Le decisioni più importanti concordate a quattrocchi.
La stima reciproca che non fanno altro che manifestarsi (“Di Matteo possiamo fidarci”, “Luigi è uno che mantiene la parola data”). E la sfida generazionale condivisa.
Anche se Salvini ha una maggiore anzianità politica, entrambi hanno scalzato in un colpo solo l’ancien régime: dal vecchio Berlusconi al giovan vecchio Renzi.
E non intendono mollare la presa.
Sull’esito a suo favore del referendum Salvini aveva detto, domenica sera in tv, di non nutrire dubbi. Infatti, Di Maio ha mantenuto la promessa.
2) Il comune interesse a non danneggiarsi e a sorreggersi l’uno con l’altro. Simul stabunt simul cadent: insieme staranno oppure insieme cadranno.
Vero è che dal 4 marzo scorso, stando ai sondaggi, i rapporti di forza si sono capovolti a favore del Capitano leghista.
Che ha dunque tutto l’interesse a proseguire nell’alleanza, per passare all’incasso quando i tempi sarano maturi.
Per Di Maio, gli unici numeri che cotano sono quelli reali che il 4 marzo hanno dato ai Cinquestelle una consistente maggioranza nei due rami del Parlamento.
Dopo meno di un anno di governo, per quale motivo al mondo il gruppo dirigente grillino avrebbe dovuto giocarsi la possibilità di restarci per i prossimi quattro?
HANNO IL CONTROLLO diretto di Palazzo Chigi, oltre che di dicasteri chiave: dal Lavoro allo Sviluppo economico, dalla Difesa all’Ambiente, alla Sanità?
Quando gli ricapita un’occasione simile?
E perché rischiare di andare a casa per un puntiglio giustizialista? Del resto, i due non fanno altro che scambiarsi cortesie.
Avete notato come dopo il voto in Abruzzo Salvini abbia cercato di minimizzare la sconfitta di Di Maio?
E come Di Maio abbia quasi lasciato campo libero all’alleato (“dove non siamo pronti meglio non presentarci”)?
Domenica si replica in Sardegna.
3)L’esercizio del potere resta sempre il collante decisivo.
L’altro giorno Di Maio è tornato tra gli applausi nella nativa Pomigliano, omaggiato dai manager pubblici di Finmeccanica il cui destino adesso è nelle mani del “suo” governo.
A cui spettano centinaia di nomine in tutti i gangli dello Stato.
Quanto a Salvini, la popolarità di cui gode è sotto gli occhi di tutti (mentre la premiership non è affatto un miraggio).
Forse non per tutti cummanari è megghiu di futtiri.
Ma meglio della fedeltà a un principio, a qualcuno sì.”