di Antonio Padellaro, Il Fatto Quotidiano, 26 luglio 2019
Proprio nel giornata del Russiagate al Senato, che secondo giornali e tv doveva essere tra le più rognose per Matteo Salvini, uscivano le foto rilassate di lui e della fidanzata Francesca Verdini, sulla spiaggia di Milano Marittima, “tra baci appassionati e coccole al mare” (Diva&Donna).
Nelle stesse ore i sondaggi segnalavano la Lega lanciata oltre il 37%, come se la brutta faccenda dei rubli avesse gonfiato di più le vele del vicepremier, invece che rallentarne la corsa.
Che, infatti, più arrogante che mai ieri mattina a Radio anch’io ha così liquidato le parole di Giuseppe Conte a Palazzo Madama: “m’interessano meno di zero”.
POI, TOLTE le braghette da bagno ha indossato la divisa da poliziotto antisommossa avvertendo i partecipanti al raduno No Tav di sabato in Val Susa che “niente resterà impunito”.
Forse si crede Putin. Piangere sul latte versato serve a poco ma non si può certo ignorare che ogniqualvolta i Cinque Stelle hanno avuto la possibilità di mettere i riga l’altro contraente, colto in fallo sulla base di fatti accertati, hanno evitato di farlo.
Accadde sulla vicenda della nave Diciotti quando i grillini gli evitarono sciaguratamente il processo.
È accaduto mercoledì in Parlamento quando potevano metterlo alle corde sui traffici moscoviti ma sono rimasti zitti. “Conte sbugiarda Salvini, ma nessuno se ne accorge”, ha titolato ieri il Fatto
cogliendo il punto decisivo.
Sarebbe bastato poco per cercare, almeno, di frenare la boria salvinesca. Le battute sfottenti sulla vicenda Metropol su cui indaga la Procura di Milano (“caccia al tesoro”, “fantasy di spionaggio”).
Lo sbattersene dell’istituzione parlamento con l’ostentata assenza. Le successive espressioni offensive nei confronti del premier.
Sarebbe stato sufficiente che, invece di scappare dall’aula in quel modo dissennato, i senatori M5S avessero reso incandescenti le bugie di Salvini.
Mettendo a confronto la sua frase dello scorso 12 luglio (“Posso produrre i documenti di chi ha viaggiato con me. Savoini al tavolo? Che ne so cosa ci facesse, chiedete a lui”).
Con quanto riferito il 24 luglio dal presidente del Consiglio: “A Mosca il 16 luglio 2018 la delegazione ufficiale del ministro Salvini comprendeva anche il nominativo del signor Savoini”.
INVECE, a parte la questione di galateo sull’assenza di Salvini sollevata dal garbatissimo capogruppo Stefano Patuanelli, per il resto niente e così sia.
Si dà il caso che il caso Salvini stia diventando un serio problema per la democrazia italiana. Non si tratta di evocare inesistenti ritorni al fascismo ma di affrontare il tema di un vicepremier dalle ambizioni fuori controllo.
Lanciato a briglia sciolta in u- na permanente demagogia elettorale che si fa beffe del premier e delle istituzioni, interessato unicamente ad accaparrarsi fette progressive di potere che non gli appartengono.
Una sbornia a cui qualcuno dovrà pure porre un freno, prima che il personaggio si convinca che tutto gli sia permesso in quanto “uomo forte”, o meglio unico gallo tra tanti capponi.
Questo stop dovrebbero darglielo i Cinque Stelle ma, visti i procedenti e malmessi come sono, dubitiamo ne abbiamo la forza (e la voglia).
Non rimane che Giuseppe Conte, che possiede l’autorità e l’autorevolezza per porre la questione Salvini davanti al Parlamento.
Che, come ha detto, non è “un molesto orpello” ma “il consesso da cui tornerò se ci fosse una cessazione anticipata del mio incarico”.
Forza presidente, batta un colpo.