di Antonio Padellario per Il FQ, 31-7-19
Quando Matteo Salvini propone i lavori forzati per gli assassini del vicebrigadiere Mario Cerciello Rega, probabilmente non fa altro che anticipare i contenuti del prossimo spot giustiziere, ispiratogli direttamente dall’ormai maggioritario popolo della vendetta.
Che ha trovato nel ministro il più fedele interprete del risentimento che ribolliva nelle vene profonde della nazione e che egli ha saputo abilmente raccogliere e incanalare.
Forse Michele Serra confonde causa ed effetto quando su Repubblica, giustamente inorridisce davanti all’ “onda di menzogne” diffuse sulla base della “‘notizia’ inesistente” che gli accoltellatori fossero due nordafricani, e parla di una vasta opinione pubblica “che si abbevera a quei pozzi avvelenati”.
Al contrario, non sarà stato forse il prode Capitano ad abbeverarsi avidamente a quei pozzi che erano rimasti lì da troppo tempo trascurati? Riuscendo a trasformare quel veleno in voti sonanti?
Per esempio, sulla giustizia quelle fonti, altamente inquinate, vengono alimentate dall’idea sovrana (anzi sovranista) che in generale le pene siano troppo miti, che i criminali beneficino di troppi sconti, e che tutto sommato dietro le sbarre sopravviva benone un popolo di parassiti mantenuti dallo Stato, cioè da noi contribuenti, vitto e alloggio compresi.
Accanto al cliché feroce (caro a Salvini) che chi va in prigione deve “marcire”, possibilmente dopo “aver buttato via la chiave”, il popolo della vendetta non ha dubbi sulla necessità di rendere molto più afflittiva la pena. Lavori forzati che nell’immaginario salvinista non hanno niente a che vedere con l’avvitare bulloni o intrecciare vimini.
Troppo comodo.
IL MODELLO più popolare (e populista) sembra piuttosto simile al bagno penale della Guyana francese del film Papillon, con Steve McQueen e Dustin Hoffman che spaccano pietre, sotto un sole mortale, guardati a vista da spietati secondini armati.
Che Salvini agisca in modo spesso politicamente losco per marciare verso il 40% (ieri, l’ultimo sondaggio Swg lo dava al 38%) è sotto gli occhi di tutti. Però quel 38, prossimo a diventare 40 esiste, e non possiamo cavarcela semplicemente dicendo che quei 10 o 12 milioni di italiani sbagliano o sono diventati così perché bevono acqua torbida.
Chi non si arrende, chi non intende portare il cervello all’ammasso del centrodestra, chi non rinuncia “a giocare la partita” ( Ma ss im o Giannini), non può non vedere, piaccia o meno, che l’unico argine di governo all’avanzata del partito della vendetta oggi sono i 5S, insieme al premier Giuseppe Conte.
A cui va certamente addebitata l’eccessiva remissività in alcune occasioni verso l’altro vicepremier (il mancato processo per la nave Diciotti): maestro nel gettare fumo negli occhi degli italiani, straparlando di porti chiusi e di legittima difesa.
Cinque Stelle che vengono lasciati soli dal partito unificato del pop corn ogniqualvolta cercano di smarcarsi dai diktat leghisti, compresi Tav e autonomia differenziata.
Qualche giorno fa la sindaca di Roma Virginia Raggi si è recata, praticamente da sola, in via Napoleone III, davanti al palazzo di Casapound illegalmente occupato da quei fascisti del terzo millennio con parecchi santi al Viminale.
Era andata lì con la richiesta di rimuovere la scritta, anch’essa illegale, che campeggia sulla facciata. La sua era soprattutto una sfida diretta a Salvini e alle sue insistenti indulgenze verso i camerati.
Sfida di segno analogo a quella che nel maggio scorso la vide a Casal Bruciato garantire con la sua sola presenza, tra insulti e minacce, l’assegnazione di una casa popolare a una famiglia rom.
Con tutte le critiche che le piovono addosso per i problemi non risolti della Capitale, lei sì che non ha rinunciato “a giocare la partita”.
Infatti, i partiti e i giornali che oggi gridano e si sbracciano a favore dello stato di diritto – dopo la vergogna del giovane americano bendato in caserma –in quel caso sono rimasti prudentemente zitti.
Non si sa mai.