di Antonio Padellaro per Il FQ, 12-11-19
“La vita punisce chi arriva in ritardo”: la frase con la quale Michail Gorbaciov ammonì il leader della Ddr, Erich Honecker, alla vigilia della caduta del Muro di Berlino, si attaglia a Pd, M5S e ai loro alleati che brillano per assenza nella campagna elettorale delle Regionali in Emilia Romagna.
Voto che Matteo Salvini considera il suo personale Muro di Berlino da abbattere prima di marciare su Roma, tanto d’aver piantato con lar- go anticipo le tende nella regione, non più rossa come un tempo e che oggi considera terra di conquista.
Ciò che colpisce non è certo l’attivismo del Matteo verde (che per il 14 novembre ha requisito il Paladozza di Bologna il cui sold out verrebbe garantito dalle truppe cammellate leghiste mobilitate da tutto il nord) bensì la scomparsa degli altri.
PER ESEMPIO, sabato scorso, il cosiddetto capitano arringava 200 attivisti proprio al centro di Reggio Emilia (Galleria Broletto) e proprio all’ora della movida.
Posiziona- mento strategico che tra- smetteva ai numerosi passanti una sensazione di padro- nanza politica, di sicurezza come se il risultato del prossimo 26 gennaio fosse soltanto una formalità.
Vero è che alla domenica l’ex vicepremier in tour in quel di Carpi e di Ferrara si beccherà qualche corposo dissenso ( “Salvini, sei solo un mezzo Mussolini”), ma la domanda di fondo non cambia: perché i suoi avversari lo lasciano, senza minimamente mobilitarsi, padrone della piazza?
A sostegno, tra l’altro, di una candidata dall’immagine politica piuttosto debole e controversa come Lucia Borgonzoni?
Tre le ipotesi possibili.
È TROPPO PRESTO. Ottanta giorni dal voto è vero sono parecchi, ma se Salvini gioca con tanto anticipo è perché ha capito che alla fine decisivo potrà essere il voto dei numerosi incerti.
Per cui seminare nella loro testa l’idea che in fondo lui è molto meglio di come viene descritto è un buon investimento sul futuro.
Infatti, ad ascoltarlo non ci sono le teste rasate, ma tante persone che dichiarano di aver sempre votato a sinistra. Che oggi, leggiamo nei resoconti dei giornali, apprezzano di Salvini, “l’umiltà”, la “disponibilità a farsi selfie”, i
“toni per niente estremisti”.
Anche la carta dell’antifascismo non funziona, disinnescata da frasi come questa: “Qui non ci sono fascisti o nazisti o sovranisti, qui ci sono italiani orgogliosi di essere italiani”.
Applausi.
Gli altri sono troppo divisi.
Esiste un qualunque elettore emiliano-romagnolo convinto di aver capito se e quali partiti sosterranno la rielezione di Stefano Bonaccini?
No, per la semplice ragione che, a parte il Pd, ad oggi non esiste nessun elemento di fatto che garantisca la nascita di una coalizione di maggioranza compatta attorno al nome del presidente che si ricandida.
Un cartello di cui resta assai improbabile faccia parte il M5S, orientato nel migliore dei casi alla desistenza (il che vorrebbe dire lasciare liberi i grillini di votare anche Salvini).
UN PERSONAGGIO, Bonaccini, che nei giudizi prevalenti non ha governato male, anzi.
Un nome non improvvisato, come accaduto in Umbria, che non avrebbe bisogno di iettatorie foto di Narni, ma di una presenza attiva sul territorio degli apparati di partito.
E dei loro leader: Zingaretti, Renzi, Bersani, Di Maio.
Magari impegnati a tampinare Salvini metro per metro, piazza dopo piazza, come avveniva nel dopoguerra tra democristiani e comunisti.
Vasto programma, come diceva De Gaulle a proposito dell’abolizione dei cretini.
Vogliono per forza perdere.
È la terza ipotesi, incredibile, pazzesca.
Ma ce la stanno mettendo tutta.