di Antonio Padellaro per Il FQ, 28-10-19
Pensavamo che dopo averlo visto fare a Matteo Salvini, nel memorabile 8 di agosto, quello di spararsi sui piedi fosse stato un infortunio da ebrezza, ridicolo ma isolato. Ora però i comportamenti bislacchi di Pd-5Stelle prima, durante e dopo la catastrofe umbra ci dicono che siamo alle sventagliate di mitra sugli zebedei. Un masochismo prêt-à-porterdi cui proponiamo un breve sunto.
1. LO SAPEVANO anche i sassi che la partita in Umbria era strapersa prima ancora di cominciare, perché dopo mezzo secolo ininterrotto al potere la parola sinistra era diventata indigesta ai più, figuriamoci dopo lo scandalo sanitario che ha estromesso la governatrice Pd, Catiuscia Marini.
Soltanto i nostri eroi facevano finta di non saperlo e si dedicavano alla ricerca di un candidato comune, individuato in quel Vincenzo Bianconi a cui, oltre alla varietà dei gilet, va riconosciuto l’ardimento di un kamikaze.
Meglio perdere uniti che procedere in ordine sparso verso la sconfitta, è stato spiegato con sottigliezza, ma a parte che alla luce dei risultati non si capisce quale altro peggio sia stata evitato, non si è voluto comprendere che il problema non era l’inevitabile tracollo del centrosinistra, ma come minimizzarne le conseguenze a livello politico nazionale.
Visto e considerato che, ancora scosso per l’a utoinfortunio del Papeete beach, Matteo Salvini si era gettato a pesce sulle elezioni umbre trasformando il voto di 700mila elettori in un giudizio universale. Una saggia comunicazione dei suoi avversari avrebbe dato al voto di domenica la sua non straordinaria dimensione politica.
E invece.
2. LA FOTO di Narni, con la festosa squadriglia kamikaze Zingaretti, Di Maio, Speranza, Conte, Bianconi, scattata un momento prima di immolarsi gridando “banzai” resta un mistero dell’autoflagellazione più insensata poiché non risulta che gli effigiati ne abbiano ricavato piacere alcuno (a parte Matteo Renzi, che infatti non c’era).
Non è servito neppure che i giornali avessero provveduto a ripubblicare, come monito, un’altra foto piuttosto iettatoria: quella di Vasto del 2011 che ritrae Bersani, Vendola e Di Pietro, un patto che durò pochissimo.
C’era un’altra ipotesi: che i prodi di Narni avessero in realtà voluto suggellare un patto di ferro, anzi di acciaio ripromettendosi di replicare la santa alleanza contro la destra salviniana alle prossime regionali del gennaio 2020, queste sì decisive, in Emilia-Romagna e Calabria, costasse quello che costasse.
E invece.
3. INVECE, il giorno dopo la disfatta della foto di Narni non si parla più. O, per essere più precisi, si è in qualche modo autocancellata, come accadeva ai tempi dell’Urss agli uomini del regime caduti in disgrazia. Per ammansire la fronda interna che intende disarcionarlo dal ruolo di capo politico del Movimento, Di Maio ha proclamato ufficialmente “chiuso”l’esperimento delle alleanze locali col Pd.
Annunciando nel contempo una imprecisata “terza via” del M5S, che sulla base del 7% raccolto in Umbria non sembra promettere un futuro radioso. Zingaretti scarica tutte le colpe su Renzi, che a sua volta incolpa di tutto la famosa foto (“genialata”).
Mentre il premier Conte affronta l’immane compito di richiamare a un minimo di logica i partner di governo spiegando che disuniti non si va da nessuna parte.
E che anzi si spiana un’auto – strada a Salvini, da Perugia a Bologna e poi chissà verso Palazzo Chigi. Dio acceca chi vuole perdere dicevano gli antichi.
Nel nostro caso chi vuole perdere si acceca da solo.