di Antonio Padellaro per Il FQ, 5,06,19
“L’Italia di Matteo Salvini – che oggi è al 34% ma potrebbe arrivare al 40% forse anche al 50% – vota il capo che agita il rosario, che chiede la cacciata dei giornalisti sgraditi (Lerner), che vuole togliere la scorta agli oppositori (Saviano), che dice me ne frego alle regole Ue (anche se poi i maggiori interessi sul debito li paghiamo tutti quanti noi).
È anche l’Italia dell’assessore leghista di Ferrara che dorme con la pistola sotto il cuscino.
Del deputato leghista di Vercelli che deride la sindaca uscente del Pd con una card sessista.
E che include gli ultra neonazisti del Verona che cantano: “Siamo una squadra a forma di svastica”.
L’Italia a cui si è rivolto lunedì scorso Giuseppe Conte – e che, molto probabilmente, non appartiene al 50% di cui sopra ma forse all’altro 50% – è invece convinta, per esempio, che le regole di Bruxelles vadano rispettate “finché non saremo in grado di cambiarle”.
Essa non ama la politica che “colleziona like”, ma apprezza chi si sfor- za di essere “sobrio nelle parole e operoso nelle azioni”.
Chi rifugge dalle “veline quotidiane e dalle freddure a mezzo social”. Chi pretende dai ministri “leale collaborazione, senza prevaricare su scelte che non gli competono e non lanciando messaggi ambigui sui giornali”.
Il vicepremier Salvini, ci mancherebbe altro, detesta l’uso della violenza fisica e i messaggi sessisti.
Quanto a chi lo accusa di essere un “fascista”, o straparla o si rifugia nell’insulto in mancanza di argomenti più solidi.
Tuttavia, l’uomo del 34% sembra quotidianamente impegnato a sobillare la pancia, diciamo così, del suo popolo per raggiungere rapidamente il 50%.
Mentre sul versante opposto il premier Conte non si crede De Gasperi e non nega di essersi trovato un giorno a Palazzo Chigi grazie a una carambola di fortunate (per lui) circostanze.
Però, da servitore leale delle istituzioni si dichiara pronto a lasciare immediatamente la poltrona, poiché non ci tiene a “vivacchiare”.
SALVINI NON È BELZEBÙ così come l’avvocato di Volturara Appula non ce lo ha inviato Padre Pio ma entrambi oggi, forse senza saperlo, rappresentano due Italie diverse e contrapposte.
Che non vanno distinte seguendo banalmente il criterio di destra e di sinistra (la parola sinistra si addice a Conte come le buone maniere a Donald Trump).
Poiché ciò che le tiene decisamente separate non è l’ideologia bensì la Costituzione della Repubblica.
Nell’ultimo anno tutto ciò che il salvinismo ha fatto emergere dalle viscere del Paese ha finito per generare nella società italiana una naturale reazione degli anticorpi.
Per un po’ i diktat sui porti da chiudere o sulle navi dei migranti da abbandonare al proprio destino, i proclami duceschi sulla pacchia finita, le scorribande sulle competenze di altri ministri e dicasteri avevano colto di sorpresa chi aveva fatto l’abitudine alle formule rituali (e alle ipocrisie) del politicamente corretto.
Da questo punto di vista l’agire-choc di Salvini, e il relativo esplicito linguaggio, hanno avuto l’effetto positivo di eliminare la fuffa retorica del sinistrese e di rafforzare, appunto, i convincimenti che attingono forza di- rettamente dalle radici della nostra Carta.
Fateci caso, nei passaggi chiave della conferenza stampa di Conte si fa riferimento all’indispensabile equilibrio tra entrate e spese (art. 81), là dove si nega la possibilità di aggirare le regole europee su debito pubblico e deficit, come auspicato dal capo leghista.
O dove si fissa il limite delle autonomie regionali, che però “non devono aggravare il divario tra Nord e Sud” (art. 5).
O dove si rammenta all’iperattivo ministro degli Interni che non può “ prevaricare” intervenendo sull’attività dei colleghi di governo.
E che non un unto del Signore o dai santi Cirillo e Metodio ma il presidente del Consiglio “dirige la politica generale del governo e ne è responsabile” (art. 95).
Conte ha avuto il merito di denunciare pubblicamente lo stravolgimento delle regole. E di rammentarle al Paese (e a chi fa finta di non capire).
Cosicché quando, presto o tardi, si tornerà al voto gli italiani sapranno che, al di là dei programmi dei partiti o delle coalizioni, saranno chiamati a una scelta decisiva e senza compromessi.
Tra chi rispetta la Costituzione. E chi no.”