di Caterina Abbate
Come mi batteva forte il cuore mentre correvo sulla Basentana verso Potenza!
Devo però raccontare perché lasciai la Campania.
Le poche supplenze che riuscivo ad ottenere mi consentivano di mantenere un rapporto con la scuola e alimentavano la mia speranza di renderlo stabile superando il concorso.
Un giorno però una persona vicina alla mia famiglia, non so come e perché, mi annunciò lapidaria: “Non sei stata ammessa agli orali del concorso! “
Fu il gelo nel mio cuore. La delusione fu tale che non chiesi spiegazioni, né mi informai da altre fonti.
Mi fidai.
Fu il crollo di tutte le mie speranze. Decisi allora di fare la stessa scelta di tanti miei colleghi: trasferirmi in una sede disagiata per poter lavorare.
Nessun luogo più disagiato della Basilicata, ai miei occhi, non poteva esserci.
Carlo Levi era stato mandato al confino ad Aliano e nel romanzo “Cristo si è fermato a Eboli” ne aveva descritto l’arretratezza e l’abbandono da parte dello Stato.
Il romanzo aveva avuto un grande successo e proprio in quegli anni si stava preparando il film, diretto da Francesco Rosi e interpretato da un grandissimo Gianmaria Volonté.
Dopo il terremoto del 1980 la Rai trasmise la versione integrale in 4 puntate.
Erano altri tempi!
Nella mia immaginazione la Basilicata era ancora quella descritta da Carlo Levi, anche se erano passati molti anni dalla fine del fascismo, ma certi pregiudizi son duri a morire.
Col pensiero di compiere quasi un rito di espiazione per non essere riuscita a superare il concorso, ci trasferimmo nell’estate del 1978.
Avevo, però, sentimenti contrastanti nei confronti della regione, il panorama storico della mia tesi di laurea in Storia medievale: luoghi normanni e federiciani. Questo aspetto mi incuriosiva e mi faceva ben sperare.
Forse non era tutto come l’aveva descritto Carlo Levi.
Un valido conforto era rappresentato dal fatto che mio fratello Raffaele lavorasse nella sede Inps di Potenza e vivesse con la famiglia nel vicino paesino di Pignola.
Saremmo stati tutti a pochi passi, contando sul fatto che l’affitto delle case costava veramente poco e c’era una moderna scuola materna per i nostri bambini.
L’estate a Pignola era veramente bella. Respiravo l’aria pulita della campagna, tutto per me era nuovo e antico nello stesso tempo: mi riportava alla mia infanzia a Montecalvo. La solitudine era la stessa, ma ci si conosceva tutti.
Un giorno trovai tutti i negozi chiusi e non era una festività. Chiesi informazioni.
Era un “lutto”, ossia un funerale.
Partecipava tutto il paese. Uomini e donne rigidamente separati. Le donne, col capo coperto, avvolte in abiti neri.
Mi apparve un rito arcaico, non so se oggi sia ancora praticato.
Proprio quando ci eravamo definitivamente sistemati, arrivarono due lettere da Roma: ero stata ammessa agli orali per due classi di concorso. La notizia negativa che avevo ricevuto riguardava la terza classe.
E io stupida, mille volte stupida, che non mi ero informata meglio!
Ripresi a studiare di notte e in ogni pausa dal lavoro.
Avevo infatti ottenuto delle supplenze: prima a Melfi, poi a Muro Lucano.
Melfi era una città di antichi splendori.
Dal suo castello l’imperatore Federico II di Hohenstaufen, il mio mito, aveva promulgato le Constitutiones Melphitanae.
E il liceo scientifico, in cui ebbi una breve supplenza, era stato intitolato, da poco, proprio a Federico II.
Nella magnifica biblioteca del Liceo trascorsi molte ore di studio.
Intanto avanzava l’autunno ed io osservavo con stupore i cambiamenti della natura: nella mia vita in città sempre più spoglie di alberi, avevo dimenticato i boschi, come possano essere diversi i colori delle foglie, dal verde brillante, al rosso, al giallo, fino al marrone.
L’arida Basilicata della mia immaginazione mi si offriva nella realtà con uno sfavillante turbinio di colori.
E stava cambiando anche il tempo. Il calore dell’estate era ormai un ricordo. I primi freddi, il vento, le nebbie, la pioggia, poi il ghiaccio, la neve.
Mi accompagnava a Potenza un provetto autista, Diego, un friulano capitato per caso in Basilicata. Si vantava di poter camminare con ogni tempo, (la sua auto era munita di gomme da neve) e mi spiegava come si guida sul ghiaccio.
” Non bisogna usare i freni… “ Io ascoltavo e pensavo che non avrei mai guidato sulle strade gelate della Basilicata.
Me ne sarei tornata al sole di Napoli.
I colleghi, con i quali condividevo il viaggio in macchina fino a a Muro Lucano, ascoltavano le previsioni del tempo alla radio. Allora non erano precise come ora e ci si accontentava. “Se c’è nebbia in Val Padana, la troveremo anche a Baragiano Scalo.”
Ed era proprio così: dopo aver superato la zona industriale di Tito, Baragiano, nella valle, era avvolta nella nebbia.
Man mano che la strada saliva, all’improvviso emergeva da un soffice strato nebbioso, come sospeso nell’aria, un campanile coronato da un gruppo di case a gradoni: Muro Lucano.
Lasciavamo la macchina alle porte del paese, ci facevamo strada nella nebbia, una faticosa salita, e poi la luce, bianca.
Un’atmosfera magica, irreale.
Tutto mi appare ora come un sogno.
E sognavano anche i miei splendidi alunni che, per venire a scuola, dovevano fare il cammino nella neve. Studiavano tanto, non ne ho avuto più così motivati.
Desideravano, grazie allo studio, di partire, di mutare la loro condizione.
Spero proprio che il loro sogno si sia realizzato, come il mio.
A dicembre superai gli orali del concorso.
Durante l’esame di geografia mi fu chiesto di presentare una regione italiana negli aspetti storici, fisici, culturali.
Scelsi la Basilicata e non la smettevo più di parlare.
Così tornai al sole e al mare di Napoli.
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