Mia nonna era una casalinga analfabeta, figlia di contadini, mio nonno aveva studiato un po’, ma tutto quello che sapeva l’aveva appreso da solo, dalle esperienze della vita e dalle letture, tante.
Ho pensato a loro dopo aver letto l’amaca di Michele Serra, su Repubblica del 20/04/2018, secondo il quale ” il livello di educazione, di padronanza dei gesti e delle parole, di rispetto delle regole è direttamente proporzionale al ceto sociale di provenienza.”
Dove vive Serra? Nel Medioevo, forse? In una società divisa in classi, immobile, dove mia nonna sarebbe stata serva della gleba? Parla di ceto sociale, ha paura di usare la parola classe.
Ha in mente un mondo che non può cambiare, dove i figli dei ricchi sono più educati, frequentano le buone scuole, mentre i figli dei poveri sono destinati alle scuole tecniche e professionali.
È vero sono cresciute le disuguaglianze, quelle che la nostra Costituzione impone di sanare. Ricordiamo l’articolo 3!
E invece Serra guarda con distacco superbo quel popolo che per lui è violento e ignorante, destinato a perpetuare se stesso.
Ho avvertito nelle sue parole il disprezzo anche verso i miei nonni. Certamente lui non li conosceva, non conosceva i loro sacrifici per allevare i figli, per farli studiare, amare il lavoro, vivere con dignità.
Disprezzo verso la mia nonnina dolce e sorridente, capace di portare allegria anche dopo un funerale, perché la vita continua ed è degna di essere vissuta.
Disprezzo verso mio nonno che amava i fiori e noi che eravamo suoi nipoti.
Quei nipoti che hanno frequentato il liceo classico, si sono laureati ed hanno lavorato con disciplina e onore.
Come nostro padre, come nostro nonno.
Orgogliosi di appartenere al popolo.
Serra è scollegato dalla realtà, non comprende la complessità della società attuale, dove certi fenomeni violenti attraversano ogni gruppo sociale, ogni classe.
A proposito delle scuole, poi, dimostra di non conoscerle e ragiona secondo gli schemi superati della mentalità di una borghesia ottusa.
Quella stessa mentalità che faceva affermare a molti miei conoscenti: “Brava! Sei stata promossa ora che insegni al Liceo classico.”
Si congratulavano con me perché mi ero trasferita dall’Istituto tecnico commerciale al Liceo classico, come se fossi diventata insegnante di serie A, mentre prima lo ero di serie B, come la mia scuola e i miei alunni.
Invece io non ero stata promossa, ero semplicemente sconfitta, esausta dopo anni di doppi turni e di conflitti con una dirigenza non all’altezza del proprio compito.
Per non aggiungere altro.
Mi sono arresa e mi dispiace, ancora oggi, a distanza di anni, per i miei meravigliosi alunni, per i quali la mia presenza in cattedra aveva un valore e un senso.
Non lo stesso valore al Liceo.
Per me gli alunni non erano cambiati, il mio lavoro era sempre lo stesso.
La stessa cosa non poteva dirsi per loro e per i loro genitori, al punto che un giorno una alunna, alla quale avevo dato una generosa sufficienza ad un compito di italiano, spalleggiata da una madre indignata, affermò con sussiego:”Non condivido la sua valutazione!”
Perché i voti, gli alunni che piacciono tanto a Michele Serra, se li danno da soli, insieme ai loro genitori.
Tanto quei pezzenti dei loro professori non contano nulla.