«Se i bulli invece che con quel pover’uomo se la fossero presa con un cane, ci sarebbe stata la rivolta popolare. E invece tutti zitti, in un silenzio assordante che oggi mi lascia amareggiato. Quanto subiva Stano è stato chiuso e isolato in una casa, in una strada, in una comunità: un essere umano che abitava davanti a una parrocchia lasciato solo».
Sono parole dell’uomo che amministra Manduria da commissario straordinario, e che hanno provocato dure reazioni nella città. Ma ci sono elementi nuovi
Emergono nuovi dettagli sulla vicenda di Antonio Stano, il pensionato di Manduria morto lo scorso 23 aprile, per mesi vittima delle aggressioni di una baby gang del posto. Negli ultimi giorni la polizia ha disposto il fermo di otto ragazzi, tra cui sei minorenni, per i reati di tortura con l’aggravante della crudeltà.
E sul caso ora spunta una supertestimone.
Il muro di omertà rotto da una 16enne.
La sera del 12 aprile, una ragazza di 16 anni si era presentata al commissariato di Manduria. La ragazzina aveva ricevuto via Whatsapp due dei video che mostravano gli abusi del gruppo su Stano.
Quel giorno insieme alla madre la ragazza si è recata alla polizia per consegnare i filmati. Ma non solo, durante l’interrogatorio la giovane ha identificato alcuni dei protagonisti dei filmati, tra cui anche il fidanzato. Un’azione che avrebbe spezzato la catena di omertà che ha avvolto la cittadina di Manduria per mesi.
La scuola sapeva.
Anche la scuola si era adoperata per segnalare il caso agli uffici preposti. Il 4 aprile un ragazzino della gang aveva mostrato alla sua insegnante uno spezzone di un video del pestaggio: «Guarda professore, sono io!» aveva detto fiero all’insegnante che, credendo si trattasse di un video scaricato da Internet, aveva sorvolato la questione.
Il ragazzo ha poi insistito: «No, no, sono io».
Come riporta il Corriere della Sera, la professoressa avrebbe subito contattato la madre che le ha risposto: «Lo so, lo so, mio marito l’ha già messo in punizione».
Dopo la risposta della madre l’insegnante ha continuato a chiedere l’intervento, questa volta, della coordinatrice degli insegnanti che ha segnalato l’episodio ai servizi sociali.
Una serie di dettagli che contraddice quanto detto in precedenza dagli uffici comunali che avevano affermato di non sapere nulla della vicenda.
A confermare che la scuola sapesse è stata la stessa preside dell’istituto Luigi Einaudi, la dottoressa Elena Silvana Cavallo.
«La scuola – dice la dirigente – ha immediatamente attivato le procedure previste in questi casi eseguendo puntualmente quello che prevedono i protocolli».
La “confessione” di un 19enne
Intanto un ragazzo di 19 anni, uno degli otto fermati dalla polizia, ha ammesso di essere parte della banda e di aver preso parte ad alcune aggressioni, Anche se ha negato di aver mai avuto un ruolo attivo nelle violenze.
Il giovane ha detto che frequentava da circa un mese il gruppo e che una sera, mentre erano fuori, uno dei ragazzi ha chiesto loro di andare all’Oratorio di S. Giovanni Bosco per «andare a sfottere ‘il pazzo” che abitava di fronte».
Alcuni dei video realizzati dalla baby gang sarebbero stati filmati con il suo cellulare.
Le accuse
I ragazzi dovranno ora rispondere di reati di tortura, danneggiamento, violazione di domicilio e sequestro di persona aggravati.
Si esclude per ora l’accusa di omicidio preterintenzionale per cui le autorità stanno aspettando i risultati dell’autopsia per stabilire le ragioni del decesso.