di LEONARDO COEN per Il FQ, 3-06-19
“Sulla pagina Fb “il razzismo non ci piace”, ho letto un sagace post: “Tra i santi invocati da Salvini mancava San Vittore”, che è mica male come battuta.
Temo però che tra poco l’accigliato ducetto del rosarietto se la piglierà anche con Internet, dopo aver attaccato Gad Lerner e aver mandato “un bacione” a Roberto Saviano, minacciando “nuovi criteri per le scorte”.
La sua tracotanza mi ricorda tanto quella del generale Fiorenzo Bava Beccaris.
Quando scoppiò la rivolta del pane a Milano, nel maggio del 1898, il governo proclamò lo stato d’assedio e lo nominò commissario straordinario con pieni poteri per la provincia di Milano.
Noi meneghini lo ricordiamo come il “Macellaio di Milano”. Perché per sedare le proteste – c’era lo sciopero generale, le fabbriche chiusero tutte e la gente scese per le strade – mise Milano a ferro e fuoco, massacrando 400 persone, donne e bimbi compresi.
Per ottenere “ordine e sicurezza”, aveva mobilitato 38 battaglioni di fanteria, 13 squadroni di cavalleria e 9 batterie.
Poi Bava Beccaris puntò i giornali d’opposizione: Il Secolo, L’Italia del Popolo, L’Avanti.
Decine, i direttori e i giornalisti arrestati. Persino l’avvocato Eliso Rivera, fondatore e condirettore della Gazzetta dello Sport. I reazionari ottusi lo ritenevano un eversore: socio di una Casa del Popolo, voce libera del giornalismo, disposto a dialogare con repubblicani, radicali, anarchici.
Don Davide Albertario, prete animoso, direttore dell’Osservatorio Cattolico gridò ai militari che l’ammanettavano: “Il popolo vi ha chiesto pane e voi avete risposto piombo”.
Gli arrestati furono costretti a sfilare per le vie di Milano, a piedi, in catene, a due a due, coi soldati e gli sbirri di fianco, pistole in mano, pronti a far fuoco. Il torinese Domenico Oliva, deputato della destra, divenne direttore del Corriere della Sera.
Fautore della linea dura contro operai e contro chi si batteva per i poveri, denunciò “la tolleranza incredibile verso i nemici dello Stato, della patria, della civiltà”.
Caro Enrico, non ti ricorda qualcuno?