intervista a cura di Francesca paci per La Stampa
A Massimo Cacciari l’ identità europea importa eccome. Tanto che prima di ragionarne ci tiene a ricordare, senza falsa modestia, di aver scritto tre o quattro libri sulla metafora del vecchio continente come arcipelago di diversità quando l’idea era al di là da venire.
Sostiene il filosofo francese Finkielkraut su La Stampa che l’identità europea si indebolisce se rinuncia ad imporsi sui nuovi venuti. Cos’è l’ identità europea?
«Se esiste un’identità europea sta nella considerazione della complessità del reale, nell’unità di realtà diverse e distinte. L’identità europea è l’arcipelago, non esiste nessuna possibile identità riducibile all’uno. La lezione della razionalità europea è far conoscere la complessità, è l’odio per le semplificazioni e per chi cerca di interrare l’ arcipelago nella pianura. L’Europa è federale nella sua essenza: il logos europeo è la negazione del pensiero unico, è così che è diventata il centro del mondo e la sua cultura è diventata dominante».
Eppure, come dice Yascha Mounk a questo giornale, con l’identità giriamo un po’ intorno al tema dei migranti. Non è che l’ Europa cerca di ritagliarsi un’identità in modo difensivo, Noi diversi da Loro?
«L’Europa è andata avanti accogliendo i diversi, anche talvolta in modo violento, con le guerre. L’Europa nasce con colossali fenomeni migratori, un meticciato continuo, un’idea profondamente romana, nel senso che mentre la polis greca si basa sull’identità della terra e del sangue la città romana deriva dal suo opposto».
Ha l’ impressione che l’egemonia culturale sia passata a destra, parlano secondo le categorie del Novecento?
«Ci sono sempre state correnti che nelle fase critiche dell’Europa hanno serrato i ranghi e si sono inventate identità senza alcun logos. È inevitabile. Il problema è se dall’altra parte c’è una cultura in grado di rispondere in modo dialettico. E non c’è. È tremendo. L’Europa invecchia laddove invece il logos europeo era quello di un continente che cresceva, città giovani, curiose, aperte. L’egemonia culturale nel segno dell’identitarismo è il sintomo di questo invecchiamento economico e culturale, l’Europa non è più il centro del mondo e non si mescola più».
Esistono faglie politiche nuove, l’ecologia o la magari addirittura la religione, su cui ricostruire questa dialettica tramontata con le idee “old-fashion” di destra e sinistra?
«È possibile che questa idea di arcipelago rinasca. I temi ecologici hanno due aspetti. Da un lato sollecitano la rinascita di quella dialettica perduta invitano per esempio un consumo limitato, dall’altro però non si può nascondere che nascono in Paesi rei di aver inquinato fino al minuto prima d’intimare agli altri di non farlo».
I Verdi, nuovamente vittoriosi in Austria, possono essere un’alternativa ai populismi?
«II movimento verde ha in sé quel logos europeo originario, l’idea di trasgredire sistemi esistenti. Ma c’è anche l’altro, l’auto-assoluzione. E poi mi pare che ancora manchi una visione d’insieme, quali sono le vie d’uscita dalla distruzione del pianeta? Quanto costano? Quanti posti di lavoro sacrificheranno?».
Su Greta Thunberg gli europei sono tutti d’accordo, da Macron a Orban. Quando è profonda su tutto il resto la distanza tra l’ Europa occidentale e quella centro-orientale?
«Basta parlare di Greta! Lei è il sintomo di un possibile tema ma il suo messaggio è nettamente semplificato, come quello di Salvini sui migranti. Con i Paesi dell’ ex blocco sovietico c’ è un problema reale perché si portano dietro immagini ultra-semplificate, sono i figli di una dittatura votata alla riduzione all’ uno, conoscono solo il bianco e il nero».
Non offre molte speranze. La socialdemocrazia è morta, la liberaldemocrazia annaspa, e l’Europa, quanta vita ha ancora davanti?
«Cerchiamo una exit strategy. La mia idea è che l’Europa debba essere coerente con il suo passato considerando che l’invecchiamento è inarrestabile: o troviamo un’unità politica o saremo presto piccole province litigiose».
Parla di unità politica ma in questo momento per gli elettori suona come burocratichese. Come si esce dalla tenaglia tra burocrazia centralizzata o sovranismo?
«Innanzitutto restituiamo dignità alla tecnica e alla burocrazia, servono grandi piani strutturali per l’unità politica. Poi bisogna darsi un assetto federale che rappresenti i popoli, combinare i due aspetti, anziché contrapporli come burocrazia vs politica della gente».
Immagina una repubblica europea, come propongono alcuni intellettuali tra cui Ulrike Guerot e Piketty?
«Si ma una repubblica europea federale, l’opposto del centralismo».