MARCO TRAVAGLIO per Il FQ, 18-9-19
La prima volta che incontrai Matteo Renzi fu nel dicembre 2010, nello studio di Lilli Gruber.
Lui era collegato dal suo ufficio di sindaco di Firenze e s’era appena fatto beccare in visita a B. nella villa di Arcore, in pieno bunga-bunga.
Ovviamente B. gli aveva garantito la massima segretezza e ovviamente aveva subito spifferato tutto. Dissi a Renzi che era un “furbo fesso”. E glielo ripeterei anche oggi, perché tutta la sua parabola politica – dall’ascesa alla discesa in picchiata fino alla scissione – è riassunta da quei due aggettivi ossimorici: furbo e fesso.
È più forte di lui: appena fa una furbata, la rottama subito dopo con una fesseria. La furbata del Patto del Nazareno e la fesseria del golpe anti-Letta senza passare dal voto.
La furbata degli 80 euro che portò il Pd al 40,8% alle Europee e la fesseria di sentirsi onnipotente. La furbata della rottamazione e la fesseria della restaurazione (con Alfano, Verdini, il Jobs Act, la controriforma elettorale e costituzionale).
Poi, dopo la tranvata referendaria, niente più furbate, ma solo fesserie: spingere Bersani&C. fuori dal Pd, non lasciare la politica nemmeno per un nanosecondo, paracadutare la Boschi in Alto Adige e, perse le elezioni 2018, ingozzarsi di popcorn e sabotare il dialogo con i 5Stelle, nella speranza di farli distruggere da Salvini e incamerarne i voti (non ne tornò a casa nemmeno uno).
Poi, quest’estate, una nuova furbata: spingere Zinga, che puntava dritto al voto come Salvini, e costringerlo a fare il governo con Di Maio.
Ma ecco, subito dopo, la fesseria: la scissione.
Ciascuno è libero di uscire da un partito quando gli pare.
Solo, dovrebbe spiegare il perché. Ieri Renzi ci ha provato in due pagine di Repubblica e in due ore di Porta a Porta, ma non ci è riuscito.
Quando il suo Pd perse l’ala sinistra, fu perché Renzi stava realizzando il programma di B. Ma ora quale sarebbe il suo dissenso con la linea Zinga?
Ammesso che ora il Pd abbia una linea, è quella che Renzi ha imposto meno di un mese fa: il governo col M5S. Dunque perché se ne va con i suoi quattro gatti (per tacer di Lotti)? Mistero.
Il fatto che nel Conte 2 non ci siano sottosegretari toscani, tantomeno di Rignano, non pare proprio dirimente. E se ora “rientrano D’Alema, Bersani e Speranza”, questa non è la causa, ma l’effetto della sua uscita.
Definire poi un partitino da 3-4% “laboratorio di innovazione spaventoso” e “un ’esplosione di proposte” per “occupare lo spazio del futuro”, è roba da Tso.
Più che a un’esplosione di energia, fa pensare alla manutenzione delle poltrone.
Roba da socialdemocratici, nel senso del Psdi.
Quelli che si fermò un’auto blu, non ne scese nessuno ed era Nicolazzi.