Stralcio intervista a cura di Silvia Truzzi per Il FQ, 13-11-19
(…) Lilli Gruber ha appena scritto un libro, che noi aspettavamo da qualche tempo perché è da qualche tempo che si capisce l’urgenza del tema nei suoi discorsi. Il pamphletto (termine coniato da Jacques, marito femminista di Lilli) s’intitola Basta e casomai non fosse chiaro il senso, c’è anche un punto esclamativo. Sottotitolo: “Il potere delle donne contro la politica del testosterone”.
Il libro parte dal celebre episodio del mazzo di rose promesso da Salvini e mai mandato. Lui per giustificarsi ha detto: “Sono un maschietto”. Che vuol dire?
Peggio: ha detto ‘Ho i limiti di un maschietto’. Sottinteso: non ci si può far niente, è la nostra natura. Ma questo è un concetto profondamente ingiusto, tanto per gli uomini quanto per le donne. Proprio con questa scusa del ‘che vuole, son ragazzi’ la disuguaglianza di genere si è perpetuata nel tempo: i maschi sarebbero geneticamente incapaci di riordinare, pulire, cambiare un pannolino o tenere chiuso nei pantaloni quello che mio marito chiama ‘il muscolo centrale’. Basta. Non è vero che tutti gli uomini sono così. E anche se lo fosse: siamo al mondo per superarli, i nostri limiti.
Lei dice che la battaglia per la parità tra uomini e donne non è di destra né di sinistra. Però i bersagli dei suoi strali sono soprattutto i politici di destra, da Salvini a Trump. A loro appartengono maggiormente le tre V del discorso pubblico, “visibilità, violenza, volgarità”?
Ammetterà che a cercare un macho nella sinistra italiana si rischiano parecchi dispiaceri…A parte gli scherzi, confermo: la battaglia per la parità di genere è bipartisan e anche bisex. È vero che, dall’America alla Russia e dall’Inghilterra alla Turchia, l’internazionale del testosterone va al potere in schieramenti ‘di destra’ (attenzione però: è sciovinista anche Xi Jinping, capo del partito comunista più potente del mondo). A guardar bene, questi leader non sono accomunati da un’ideologia o da una fede politica. Ma dalla corruzione, dall’impunità, dal disprezzo per la democrazia. E per le donne. Per questo sostituirli con leader più equilibrati è il modo per costruire un mondo migliore per tutti: maschi e femmine, di destra e di sinistra.
La cosa più impressionante del suo libro sono i numeri. Tipo che il 75% del lavoro non retribuito nel mondo è svolto da donne. Secondo lei non sono anche troppe donne a sottovalutare queste disuguaglianze?
Sì, e il motivo principale è che queste disuguaglianze non vengono raccontate abbastanza. Soprattutto alle generazioni più giovani, che vivono certe conquiste come acquisite: per tanti di loro, la battaglia per il voto alle donne è attuale più o meno quanto la battaglia di Lepanto. Quando però si spiega loro quanto sia facile fare passi indietro, cominciano a notare per esempio le corsie preferenziali che i maschi hanno sul posto di lavoro, ad arrabbiarsi per i mille piccoli luoghi comuni con cui il linguaggio quotidiano offende il femminile. Non c’è sottovalutazione, c’è mancanza di consapevolezza. Per questo ho scritto pagine che non contengono opinioni ma fatti, dati, storie che chiunque possa usare come arma contro i negazionisti della disuguaglianza. Occorre ancora alzare la voce contro l’ingiustizia, perché l’ingiustizia si nutre di silenzio.
Una volta Sabina Ciuffini ci ha detto: rispetto tutte le donne che hanno conquistato il potere, anche se ci sono arrivate infilandosi nel letto di qualcuno. Vista la sproporzione tra i sessi non è il caso di sottilizzare. È d’accordo?
No, non sono d’accordo, perché ciò che si ottiene infilandosi nel letto di qualcuno non è potere. È un posto elargito ‘per gentile concessione’ del maschio di turno. Viene facilmente donato e altrettanto facilmente sottratto, per assegnarlo alla prossima in lista d’attesa dietro il divano o sotto la scrivania. Il potere è un’altra cosa: è la via per produrre il cambiamento. Si merita, si conquista e si mantiene. E lo si usa per promuovere le più brave, così che le ‘gentili concessioni’ non siano mai più la regola del gioco.
Quote rosa: ancora molte donne pensano che siano un ghetto. Perché non è così?
Guardiamoci intorno: è ancora la norma per molti datori di lavoro assumere, a parità di curriculum, il candidato maschio. E tra i dati che cito c’è quello sulla disuguaglianza salariale: mediamente il 16%. C’è un motivo razionale per pagare di più un uomo, a parità di ruolo, responsabilità e performance? No. Eppure è così ovunque. Esiste una discriminazione negativa, e l’unico modo per combatterla è una discriminazione positiva: le quote rosa. Che costringono, a parità di merito, a scegliere la candidata donna. Fino a quando il sistema non tornerà in equilibrio e non ce ne sarà più bisogno.
Tra i consigli che dà alle ragazze ce n’è anche uno di moda, solo apparentemente secondario: compratevi una giacca. “Nella vita pubblica non ci si veste per essere sexy. Provate a chiedervi: se oggi incontrassi la donna che mi promuove, mi troverebbe a posto?”
Avvertenza: non c’è niente di male a vestirsi sexy. Non deve passare il concetto aberrante che se ti metti la minigonna poi ‘te la sei cercata’. Però ogni situazione ha i suoi codici e il mondo del lavoro richiede che l’attenzione sia sulla competenza, non sul corpo. Sbaglierebbe anche un uomo in canottiera, ma loro in ufficio in canottiera non ci vanno: sono più furbi. Allora, facciamoci furbe anche noi e giochiamo al gioco del potere, non a quello della seduzione.