Nel cielo non appaiono ai nostri occhi nascoste divinità o paradisi lontani, ma il sole, la luna, le stelle, i pianeti…la luce dopo il buio freddo di una eclisse.
Non temete! Non vestirò i panni di un critico cinematografico, con la recensione del film L’eclisse di Michelangelo Antonioni (1962).
Non è il mio mestiere. Qui non c’entra l’incomunicabilità.
Parlerò invece di qualche mia personale eclisse, o eclissi che dir si voglia.
È la stessa cosa.
In questi giorni mi frullano nella mente queste parole: eclisse della sinistra, buio, oscuramento.
Ecco, l’ho detto!
E allora ti viene voglia di altro, di guardare verso il cielo.
Non per un desiderio metafisico, ma per riconciliarsi con la bellezza della natura, con quanto c’è di più puro.
Lontano dalle miserie di questo piccolo mondo.
Quando dopo il buio ritorna abbagliante la luce.
Così la parola eclisse assume un altro senso. Eclisse di sole.
O eclisse di luna.
Tra le mie prime letture ci sono i romanzi di fantascienza che hanno alimentato la mia fantasia: viaggi interstellari, viaggi nel tempo, forme di vita aliene, altri soli, altre lune.
E poi i film come Guerre stellari, le serie Star trek, Spazio 1999.
Quante storie lassù!
Perciò mi hanno sempre affascinato i fenomeni celesti.
Anche le stelle cadenti della notte di San Lorenzo, che poi stelle non sono, ma uno sciame di meteore, le Perseidi.
E non per la sciocchezza dei desideri esauditi, ma per questi versi:
“E tu, Cielo, dall’alto dei mondi/sereni, infinito, immortale/oh! d’un pianto di stelle lo inondi/ quest’atomo opaco del Male!” (da Giovanni Pascoli, X agosto)
Gli occhi dei miei poeti hanno da sempre guardato il cielo.
Leopardi, nel Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, parlava alla luna per ricevere impossibili risposte sul destino dell’uomo.
“Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, Silenziosa luna? Sorgi la sera, e vai, Contemplando i deserti; indi ti posi. Ancor non sei tu paga. Di riandare i sempiterni calli?…”
Ma sono le eclissi di sole a generare in me un’emozione profonda e diversa.
Ne ricordo due in particolare.
La prima del 15 febbraio 1961, il mercoledì delle Ceneri.
Ci fu concesso di entrare a scuola più tardi, per poter assistere all’eclisse in piena libertà.
Fu un evento che catalizzò l’attenzione del mondo e ispirò il finale del film di Antonioni.
Una curiosità: in Romania furono anche coniati francobolli.
Alla nostra latitudine l’eclisse fu solo parziale e io, che mi ero immaginata la stessa reazione dei superstiziosi popoli antichi, rimasi alquanto delusa.
Vabbè, alla prossima, pensai.
E andiamo all’undici agosto 1999.
L’estate al mare di Gaeta e le raccomandazioni ai figli.
“Indossate gli occhialini speciali, ma non guardate verso il sole, è pericoloso!”
All’ora prevista eravamo tutti col naso all’insù, preoccupati per le nuvole, che avrebbero potuto impedirci di godere dell’evento.
All’improvviso gli uccelli quasi smisero di volare, si alzò un vento gelido, la luce si abbassò: ancora una volta eclisse parziale alla nostra latitudine.
Ma questa volta provai un’intensa emozione: stupore, sensazione di abbandono, solitudine nella folla della spiaggia divenuta silenziosa, percezione della fine di ogni cosa, paura. Come i superstiziosi popoli antichi
E allora capii anche il significato del finale del film di Antonioni.
Mi sentii sola e sperduta nell’universo in estinzione.
Furono pochi, indimenticabili attimi.
Il vento freddo smise di soffiare e si trasformò nella dolce brezza marina, gli uccelli ripresero a cantare e, facendosi spazio tra le nuvole, ritornò a splendere il Sole invitto.
Buone eclissi a tutti!
Ne vedremo tante altre per i prossimi anni e secoli.