Stralci di un pentimento…di Salvatore Cannavò per Il FQ:
“(…) È STATO FORSE l’ex premier lussemburghese quello che si è cosparso di più il capo di cenere, se non altro perché la confessione del peccato è stata fatta di fronte a tutta l’Europa. “Durante la crisi con la Grecia siamo stati poco solidali con la Grecia e troppo arrendevoli con il Fondo monetario internazionale”, ha dichiarato qualche giorno fa Juncker.
E lo dici solo ora? deve aver pensato il premier greco, Alexis Tsipras.
Ma quelle parole non sono isolate.
Si prenda il caso di Carlo De Benedetti, intervistato dal Sole 24 Ore: “Quanto all’élite europea credo sia necessaria un’autocritica. Negli ultimi 20 anni siamo stati troppo innamorati della globalizzazione (…) la responsabilità di questa accettazione acritica è da attribuire a Blair e al blairismo che ha contagiato la sinistra europea”.
Quindi anche Matteo Renzi, immaginiamo.
Ma prima forse anche Walter Veltroni e Massimo D’Alema tutti folgorati sulla via di Londra.
Peccato che a quelle folgorazioni i giornali del suo gruppo abbiano dedicato tutta la loro potenza di fuoco.
Enrico Letta, che dopo la sconfitta politica nel Pd a opera proprio di Renzi si è trasferito a Parigi dove insegna a Science Po, dice invece nel suo ultimo libro Ho imparato che le élit e hanno peccato di un “mix tossico di autoconservazione e machiavellismo politico ”, osservazione corretta da parte di chi quella tossicità in qualche modo l’ha incorporata.
LA STRADA del pentimento l’aveva già imboccata la scorsa estate Gad Lerner, proprio su questo giornale, quando, per denunciare “l’imborghesimento del Pd” e la sua “confidenza” con il capitalismo italiano non risparmiava critiche a se stesso: “Sono un borghese benestante, un radical chic, l’amico di Carlo De Benedetti. Sono tutte cose vere. Per questo la nuova classe dirigente del centrosinistra non partirà certo da quelli come me”.
Di fronte a tali dichiarazioni la mezza ammissione sfuggita a Pier Luigi Bersani sul ruolo negativo operato da Giorgio Napolitano durante il passaggio dai governi Berlusconi a Monti sembra poca cosa, ma se approfondita aprirebbe davvero un sentiero inedito.
Quello che importa, comunque, non è tanto rimproverare incoerenze evidenti o segnalare la conversione tardiva. Quanto comprendere.
Di fallimento del patto tra élite e popolo ha scritto Alessandro Baricco su Repubblica: “Le élite lavorano per un mondo migliore e la gente crede ai medici, rispetta gli insegnanti dei figli, si fida dei numeri dati dagli economisti (…) quando quel patto funzionava, era saldo, produceva risultati. Adesso la notizia che ci sta mettendo in difficoltà è: il patto non c’è più”.
Quello che ai più sfugge è che la rottura è avvenuta da tempo.
Si potrebbe risalire alla nascita dell’Unione europea di Maastricht, testa pensante della moderna austerity.
MA LEGGENDO un articolo, uno dei tanti dedicati all’argomento, di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera restiamo in tempi più recenti: “Si ha l’impressione che le élite tradizionali (…) facciano sempre più fatica a comprendere, e quindi a rappresentare, ciò che non da oggi sta prendendo forma negli strati profondi delle società occidentali e che la crisi economica rinvigorisce (…). Di fronte a tutto ciò parlare di una ‘ribellione delle m a s s e’ all’ordine del giorno sarebbe francamente esagerato. Ma tenere gli occhi ben aperti di certo non lo è per nulla”.
Sono parole scritte non nel 2018, ma nel 2008, subito dopo il fallimento di Lehman Brother’s, nel pieno della grande crisi economica. Le risposte a quella crisi sono state le stesse di sempre –vero Bersani? – e il risultato, se non è stata la “ribellione” è però un disconoscimento.
Dal voto del M5S o di vari populisti europei ai Gilet gialli.
Contro qualsiasi governo, di destra o di sinistra.
Ora, qualcuno vuole forse ripensarci e recuperare il terreno perduto.
Ma un pentimento che si rispetti ha bisogno anche di una penitenza.
E quella ancora non si vede.”