di Caterina Abbate
Non amo la neve, anche se i miei nonni dicevano:”Sotto la neve pane, sotto la pioggia fame.”
Loro erano stati contadini ed avevano vissuto i rigidi inverni di Ariano Irpino.
Ma vivevano secondo ritmi più lenti e accettavano quelli della natura.
Poteva capitare che restassero bloccati in casa, perché la neve aveva raggiunto quasi il tetto ed erano stati costretti ad uscire dal finestrino della soffitta.
E tutti a spalare la neve.
Mia madre ricordava ancora con sofferenza l’inverno a Ripabottoni, in Molise.
Mio nonno, caposquadra delle Ferrovie dello Stato, vi era stato trasferito dal 1938 al 1940.
Era uno di quei lavoratori che l’attuale RFI ritiene inutili, perché affida la manutenzione delle linee ferroviarie a ditte esterne ed ha ridotto il personale.
Mio nonno invece era orgoglioso di essere un dipendente delle Ferrovie dello Stato.
Sulla linea ferroviaria, al Casello dove abitavano, la neve era alta e tutti correvano fuori a spalare.
Con pesanti cappotti di lana che, bagnati, dìventavano ancora più pesanti.
Gli occhi lacrimavano e le lacrime dìventavano ghiaccio sul viso, le mani prima rosse e poi bianche per il gelo, i piedi intorpiditi nei ruvidi scarponi.
I geloni alle mani e ai piedi erano abituali d’inverno.
I cittadini romani, durante la nevicata a Roma, hanno giocato a palle di neve come bambini, nei loro leggeri e caldi piumini imbottiti, con i guanti termici, con gli scarponi da neve.
E non sono andati al lavoro per un’emergenza-neve di pochi centimetri.
A spalare la neve ci pensa il Comune.
Mio nonno, invece, lavorava per tenere sgombra la linea ferroviaria con ogni tempo.
In casa avevano ogni genere provviste per tutto l’inverno.
A Roma, in zona Centocelle, è scoppiato il panico per la rottura di una conduttura dell’acqua a causa del gelo. Molte zone del quartiere sono rimaste senza acqua e i supermercati in brevissimo tempo hanno esaurito le scorte di acqua minerale.
Eppure quanto è bella Roma sotto la neve! Una città magica e unica al mondo.
Ero bambina al tempo della eccezionale nevicata del 1956 a Napoli e provincia.
Che gioia! Niente scuola per giorni e giocare con la neve sul terrazzo di casa!
Come il mio nipotino qualche giorno fa.
Io non ero più la bambina del 1956, quando in Basilicata, nel 1978, ho rivisto la neve.
Non c’era più il piacere del gioco: affrontare il viaggio per andare al lavoro sulle strade ghiacciate, attendere gli alunni, che dovevano percorrere chilometri a piedi nella neve per raggiungere la scuola.
Ora invece penso agli abitanti delle zone terremotate, costretti ancora per un anno ad affrontare il gelo in alloggi inadeguati.
Perciò non mi piace la neve.
Eppure mi soffermo incantata,come la bambina che ero, a guardare dalla finestra scendere lenti i fiocchi di neve.
Provo una strana serenità e per un attimo dimentico la fatica, la sofferenza che quel meraviglioso e soffice manto bianco può significare.