di Caterina Abbate
La scuola della penna, inchiostro e calamaio
Ho imparato a leggere, scrivere e far di conto in casa, con i miei genitori per insegnanti.
Tra l’odore di bruciato del sugo di pomodoro, perché mammà si distraeva, o di sigaretta, che papà lasciava consumare tra le dita in una lunga striscia di cenere.
Davanti al camino acceso
Si erano divisi i compiti: mamma curava la calligrafia, i componimenti (è un’esagerazione, si trattava di pensierini), il disegno, la poesia.
Papà era il maestro di aritmetica.
Questa organizzazione didattica dipendeva dai loro gusti personali, anzi dalle loro passioni.
Mammà amava leggere, papà era un genio della matematica.
Io ho ereditato la passione per la lettura e la poesia da mammà, mentre papà mi ha trasmesso il rigore nel lavoro.
Ma non l’amore per la matematica.
Per imparare a memoria le tabelline dovevo cantarle, perché non riuscivo a ragionare sui numeri.
Ho riempito pagine e pagine di grossi quaderni con la copertina nera: un qualsiasi esercizio doveva essere scritto prima in brutta copia, corretto e poi trascritto in bella copia.
Il quaderno di bella doveva essere perfetto e senza macchie.
La trascrizione richiedeva molta concentrazione, perché usavo la penna intinta nell’inchiostro nero.
Mi son sempre chiesta il senso di questa abitudine: forse perché a scuola i quaderni di bella erano mostrati al Direttore durante le severe ispezioni.
La liberazione dall’inchiostro arrivò soltanto in quarta elementare con la Bic, quando frequentavo la scuola pubblica.
Nonostante la fiera opposizione della maestra di allora, il progresso non si arrestò.
Mister BIC: sempre sia lodato!
La mia avversione verso l’inchiostro, la penna e il calamaio era diventata vero odio in seguito all’evento che andrò a raccontare.
Quando i miei genitori giudicarono completa la mia preparazione, mi iscrissero all’esame di seconda elementare.
Sostenni l’esame da privatista presso la scuola elementare di Montecalvo Irpino.
Un edificio grigio e severo, con lunghi corridoi, aule enormi.
Sulla cima della collina.
Forse tali apparivano a me, che ero così piccola.
Ero molto emozionata e cercavo di distrarmi ammirando la mia eleganza per quella importante occasione.
Indossavo un grazioso vestitino azzurro.
Le scarpe nuove di morbida pelle, acquistate al Calzaturificio di Varese, un negozio alla moda in via Roma, ora via Toledo, a Napoli.
Meta frequente dei nostri acquisti; allora non si usava definirli shopping.
Sostenni brillantemente l’esame, ma al momento di riporre la penna sporca d’inchiostro, delle gocce traditrici macchiarono inesorabilmente il mio bel vestitino. Con un fazzoletto tentai di pulirle e non feci altro che estenderle maggiormente.
Che rovina!
Fui promossa e frequentai la terza elementare a Montecalvo Scalo, nella scuola rurale ubicata, al piano terra, nello stesso edificio del nostro alloggio.
Per me allora andare a scuola significò scendere le scale di casa, aprire il cancello del nostro giardino e girare subito a destra.
Che differenza con la calda atmosfera dei miei primi anni di studio!
Mi trovai in una pluriclasse, con numerosi bambini di età diverse, in scomodi e alti banchi. Incassato, sulla destra, l’onnipresente calamaio.
E, poi, la maestra!
Grassa, i capelli neri e unti, raccolti in una crocchia scomposta. Scarpe di cuoio grossolano. Il labbro superiore orlato da peluria nera.
Stava seduta in cattedra come in trono e aveva accanto una lunga bacchetta, che usava per imporre il silenzio o, molto più spesso, per picchiare qualche alunno indisciplinato.
Non mi sfiorò mai nemmeno con un dito, anzi mi trattava con untuoso rispetto.
Non dimenticava che ero la figlia del capostazione e, talvolta, quando arrivava da Benevento, saliva a casa nostra per sorbire un buon caffè caldo, preparato con la caffettiera napoletana.
In tal caso, scendeva in ritardo in classe con grande soddisfazione di noi alunni.
Il supplizio durò soltanto un anno, perché papà fu trasferito a Casalnuovo di Napoli e cambiai scuola.
Da tutta questa esperienza ho ricavato comunque un vantaggio: almeno ho evitato due anni di scuola elementare.
Che non è poco, visti i metodi adottati!