di Caterina Abbate
“Don Peppino, abbiamo pensato di offrire la candidatura a vostra figlia Caterina. È giovane, in gamba. Queste elezioni le dobbiamo vincere, ma dobbiamo dare un segnale di rinnovamento. Sono elezioni amministrative, sarà una bella esperienza. E poi la vostra famiglia ha già avuto un candidato: vostro nipote buonanima. A Caterina daremo il suo stesso numero in lista, il numero 2, per la tradizione familiare, subito dopo di me che sono il capolista.”
Mio padre sorride ironicamente: ”Pasquale, non fare chiacchiere inutili. Lo sai anche tu che i nomi sono disposti in ordine alfabetico e Abbate è stato sempre in testa alla lista. E poi ti potevi risparmiare la mozione degli affetti. Piuttosto dobbiamo chiedere a Caterina se è d’accordo. Però una cosa te la voglio dire: se lei accetta, non fate giochi sporchi! Io conosco i vostri trucchi e vi controllerò. Ti giuro che, se fate brogli, vi denuncio. “
Non è una storia di oggi, risale al 1970, ma certe pratiche sono eterne: lo erano già all’epoca di Cicerone.
Non anticipiamo i tempi
Il dialogo tra mio padre e il più alto dirigente della Democrazia Cristiana di Grumo Nevano si interrompe, entrambi mi guardano, aspettando la mia decisione. “Sì, accetto.” Non seguo la politica, ma sono ben integrata nella vita sociale del paese, sono curiosa e desiderosa di nuove esperienze.
Si tratta di partecipare all’amministrazione del Comune, non di cambiare il mondo.
E poi il richiamo a mio cugino Raffaele, morto in un incidente stradale a soli trent’anni, mi ha colpito.
Deve esserci un altro Abbate nella lista DC, al numero 2.
Da buon avvocato, Pasquale ha giocato bene le sue carte.
Le cose iniziano a chiarirsi già durante la campagna elettorale: noi giovani del rinnovamento siamo il fiore all’occhiello, portati in giro, esposti sul palco durante i comizi, ma muti.
I discorsi sono privilegio dei capi e riguardano polemiche spicciole con promesse vane.
Arriva il giorno delle elezioni, ho una buona affermazione, sono la prima dei non eletti.
Ma mio padre ha vigilato.
Ha le prove dei brogli e, come ha promesso, denuncia gli autori, che, dopo alcuni anni, sono condannati.
Io intanto maturo l’interesse verso la politica.
Il referendum sul divorzio è lo spartiacque, mi sposto decisamente su posizioni di sinistra.
Indimenticabile la vignetta di Forattini per celebrare la vittoria del No al referendum.
Qualcuno mi osserva e si interessa al mio percorso.
Arrivano le elezioni amministrative del giugno 1975.
I dirigenti del Partito Comunista locale mi propongono la candidatura come indipendente di sinistra, partecipo ai dibattiti in sezione, ci sono vecchi militanti da sempre all’opposizione e mi sento davvero apprezzata.
È il momento di andare al governo della città con socialisti e socialdemocratici.
Sono fiduciosa nel cambiamento.
Il partito dà le indicazioni di voto ai militanti: ci sono anch’io, come donna e indipendente.
Sospetto però che, dietro la scelta, ci sia un calcolo strategico, se non un dispetto alla Democrazia Cristiana.
D’altro canto devo confessare anche la mia motivazione più profonda: prendermi una bella rivincita sulla Democrazia Cristiana.
Forse non troppo nobile, ma sportiva.
La campagna elettorale è molto bella. Le piazze sono sempre piene.
Preparo con cura i miei discorsi, mi alleno a declamarli ad alta voce e mi risento al registratore.
Ricordo in particolare un comizio nella piazza principale, la folla delle grandi occasioni, il palco di fronte alla sede della Democrazia Cristiana.
Ed io che mi rivolgo a loro, ai miei avversari.
Che rivincita!
Mio padre vota per la prima(e forse unica) volta il Partito Comunista.
Sono eletta e si forma una Giunta di Sinistra.
Sembra proprio che in Italia ci sia desiderio di Sinistra: il PCI di Berlinguer riscuote un grande successo alle amministrative e alle politiche del 1976 si spera nel sorpasso sulla DC.
Mi piace la vita nella sezione del Partito: i dibattiti, gli incontri con i dirigenti della Federazione.
È la scoperta di un mondo per me nuovo.
Mi iscrivo al Partito.
Mia figlia, di 15 mesi, mi segue in sezione e osservando una foto:”Mamma, è Antonio Gramsci!”
Un vecchio militante si commuove.
In realtà Lara ha soltanto riconosciuto la stessa foto della copertina dei “Quaderni del carcere”, che abbiamo a casa.
Niente di ideologico, semplice memoria fotografica!
Il sorpasso nel 1976 non avviene. Il PCI si ferma al 34%, la DC è al 38%.
Quel tempo è passato.
Quel partito non c’è più, l’altro nemmeno, ma ha cambiato faccia e nome.
È tutto finito.
Da qualche parte, in casa, dovrei avere ancora le tessere del PCI.
In seguito non ho più preso tessere di partito.
Finì presto anche la mia esperienza di consigliere comunale.
Le decisioni erano prese in circoli ristretti, mi sentivo soltanto un numero.
Le assemblee del consiglio si trascinavano senza senso fino a notte fonda, soltanto per il narcisismo dei consiglieri con la smania dell’intervento.
Quelle parole in libertà non avrebbero cambiato nulla: era tutta scena.
Quello che aggravò la mia sensazione di inutilità e mi condusse ad una drastica decisione fu un fatto apparentemente banale.
Una sera era stato convocato il consiglio comunale: faccio i salti mortali in famiglia per arrivare in orario, mi precipito in Comune e non trovo nessuno.
Il consiglio era rinviato perché c’era la partita del Napoli.
Nessuno mi aveva avvertito.
Mi dimisi per ragioni personali, ma erano invece politiche.
Assenza di trasparenza, mancanza di partecipazione e scarsa organizzazione, clientelismo
Era ieri, sembra oggi.