Il terremoto del 23 novembre 1980 ci sorprese in una domenica di svago, trascorsa in compagnia di una coppia di amici.
Abitavamo allora in una villetta con giardino, presa in affitto a Casandrino, grande abbastanza per vivere tutti insieme: la mia famiglia ed i miei genitori. Purtroppo papà ci aveva lasciato il 2 aprile di quell’anno e quella scelta, che avevamo fatto proprio per lui, per dargli spazio e libertà, ci pesò non poco negli anni successivi. Non amavamo quel paesino e gli eventi del post terremoto, con l’avvento di una criminalità sempre più forte e crudele, ci diedero ampiamente ragione.
Ma questa è un’altra storia.
Torniamo a quella sera che nella mia mente è sempre presente e non è mai finita.
I nostri amici decidono di tornare a casa per raggiungere i figli nella vicina Frattamaggiore, dove hanno trascorso la giornata con i nonni, ed essere tutti insieme per cena. Li accompagniamo alla macchina, parcheggiata davanti al cancello della nostra casa, per gli ultimi saluti, quand’ecco alle 19,35…la scossa!
Ancora adesso risento il boato, avverto il terribile ondeggiare della terra.
Ci guardiamo stupiti, in un primo momento crediamo che sia stato mio figlio Paolo a far muovere la macchina con i suoi salti, poi in un interminabile minuto e mezzo riconosciamo il mostro che si è abbattuto su di noi.
Sono paralizzata dal terrore e dalla rabbia. Perché il terremoto viene ora che ho i bambini piccoli?
Mio marito rientra velocemente in casa per salvare mia madre: lei, così esperta di terremoti perché aveva vissuto il catastrofico terremoto in Irpinia del 1930, non si è accorta di nulla. Davanti alla tv, con la cuffia per sentire meglio, le girava un po’ la testa, ma ha pensato ad un malore.
Mario, dopo aver accompagnato fuori mia mamma, rientra in casa per prendere cappotti, coperte, le chiavi di casa e della macchina. Intanto i nostri amici montano in auto per correre a Frattamaggiore dai figli. Decidiamo di passare la notte in macchina. In cinque (tre adulti e due bambini) stipati nella nostra Cinquecento beige! Prima ci accertiamo se mio suocero, a Grumo Nevano, stia bene. Occorre ricordare che tutte queste cittadine che ho nominato (Frattamaggiore, Grumo Nevano, Casandrino) costituiscono un unico agglomerato, attaccate come sono l’una all’altra.
Nonno Paolo sta bene e con tranquillità:”Sì, ho avvertito la scossa, ma adesso è passata. Mentre cenavo ho sentito al tg-uno che ci sono stati solo quattro morti a Frattamaggiore. ” commenta sorridendo dei miei timori.
Ancora più angosciata ribatto:”Già si parla di morti da noi, la cosa è grave. Ci saranno sicuramente delle repliche. Venite con noi! Dormiremo in macchina.”
“No, andate voi! Se proprio devo morire, preferisco che accada tutto rapidamente, con il terremoto, nel mio letto, invece che con una broncopolmonite”.
Non c’è verso di convincerlo e ritorniamo a Casandrino.
Quanto è lunga quella notte, fredda per l’angoscia! Non riesco a prendere sonno, mentre i miei cari si addormentano presto. A basso volume accendo la radio: arrivano le prime incerte notizie, poi le tragiche conferme.
L’alba sorge grigia, nebbiosa e triste. Un’altra notte in macchina non è possibile e decidiamo di partire per Roma. I miei zii ci ospiteranno.
Lungo l’autostrada, nella nostra direzione verso Nord, non c’è nessuno, ma nell’altra corsia, verso Sud, una fila interminabile di mezzi militari e civili, per un grande e spontaneo moto di solidarietà.
Dopo ore di viaggio, arriviamo a Roma e la città eterna ci accoglie con uno splendido sole.