di Marco Palombi e Carlo Tecce per Il FQ, 15-8-19
Al 7° giorno, la crisi di governo si riposò. Con un mucchio di parole e poche certezze, i partiti si preparano al venti di agosto con l’intervento a Palazzo Madama del presidente Giuseppe Conte. Ecco una guida, aggiornata e ragionata, per scoprire le ultime strategie dei protagonisti.
CONTE. Il premier è atteso in Senato per generiche comunicazioni. I leghisti fremono per votare la sfiducia e lasciare aperta la finestra elettorale su ottobre. Il presidente vorrebbe affrontare i senatori e sancire in Parlamento la decomposizione dell’esecutivo gialloverde.
I 5 Stelle, però, studiano una risoluzione talmente annacquata da favorire l’uscita dall’aula dal centrosinistra (Pd e LeU) e permettere a Conte di salire al Quirinale per rassegnare le dimissioni senza la sfiducia addosso.
Così il premier, con un governo formalmente in carica per gli affari correnti, potrà partecipare al G7 (a Biarritz dal 24 al 26 agosto) e, nel frattempo, Sergio Mattarella svolgere le consultazioni. In assenza di un’altra maggioranza politica, il Colle potrebbe affidare un altro incarico a Conte: a quel punto l’ex garante del contratto gialloverde, con un esecutivo più snello e un’agenda minima, potrebbe cercare il consenso in Parlamento tra coloro che sono terrorizzati dalle elezioni anticipate.
SALVINI . Al momento l’offensiva di Ferragosto è fallita. Con la crisi impantanata in Parlamento (e dove sennò?), oltre la costante propaganda, il ministro dell’Interno non ha più armi. Deve confidare negli errori altrui, e nel Carroccio si sentono i primi mugugni contro il Capitano: il suo vice Giorgetti parla di “responsabilità di Matteo” (ci ha pensato troppo). Rifioriscono pure parole gentili per i 5 Stelle come quelle di Gian Marco Centinaio: “Io non chiudo mai le porte fino in fondo”.
Tanto rumore per un rimpastone e avanti con Conte e Di Maio? Chissà. Per adesso, gli abili comunicatori leghisti dicono che è attivata la modalità “pausa di riflessione”.
DI MAIO. L’altro vicepremier non ha abboccato alla proposta di Matteo Salvini di tagliare per i posteri il numero dei parlamentari e andare subito alle elezioni. Di Maio ha accettato la condivisione dei poteri nel Movimento e agisce col supporto di una cabina di regia: Beppe Grillo; Massimo Bugani, uomo di Davide Casaleggio; Alessandro Di Battista, Paola Taverna, i capigruppo, i fedelissimi Bonafede e Fraccaro e al telefono – per decoro istituzionale – Roberto Fico (e, se del caso, lo stesso Conte). Patuanelli, capo dei senatori, tratta con Paola De Micheli, vicesegretario del Pd.
GRILLO. È euforico per la possibile alleanza col Pd, pensa che sia un modo per tornare alle origini del Movimento (ambientalismo, innovazione) e continua a mandare beffardi messaggi in codice agli amici. Il 10 agosto: “Le stelle cadenti tornano indietro. Ripeto: le stelle cadenti tornano indietro”. Ieri consigliava di ascoltare la canzone Si fa ma, non si dicedi Milly: il testo, se ci si passa il gioco di parole, è rivelatore.
ZINGARETTI. Dopo Salvini, è il politico che più desidera le elezioni in autunno. Non perché illuso di vincere, ma perché tentato di sottrarre a Renzi il controllo dei gruppi in Parlamento. Siccome non può intestarsi una sconfitta né l’azzar – do di cedere alle destre la nomina del presidente della Repubblica nel gennaio 2022, Zingaretti riempie il taccuino di proposte per i Cinque Stelle in caso di governo anti-Lega: esecutivo politico; ministeri importanti; orizzonte di tre anni; figura d’area per il ruolo di commissario europeo; cancellazione di cospicui pezzi dei decreti salviniani sulla sicurezza (l’ultimo approvato dal M5S dieci giorni fa). E soprattutto: fuori dal governo Conte, Di Maio e gli altri volti “gialloverdi” del Movimento. Dal Nazareno dicono: “Adesso loro stanno provando a far capire a Di Maio che, nel caso, dovrà farsi da parte”.
FICO. È un nome ricorrente per la guida di un governo di centrosinistra più Cinque Stelle perché fonde le caratteristiche politiche (è un riferimento del Movimento che guarda a sinistra) e istituzionali (è la terza carica dello Stato). Come già accaduto nel maggio 2018, per le suddette motivazioni, Mattarella potrebbe affidargli un mandato esplorativo se non regge il Conte II. Grillo, a quanto risulta, avrebbe dato il suo benestare all’operazione esplicitamente anche alla controparte dem.
MATTEO RENZI. L’ex premier è tornato centrale nel dibattito perché centrale in Parlamento, non al Nazareno né nei sondaggi. È pronto a governare con chiunque e, guadagnato tempo, si costruirà i suoi gruppi autonomi accogliendo 25-30 transfughi di Forza Italia per creare con loro una nuova lista e raccogliere l’eredità politica di Silvio Berlusconi come attrattore del “voto moderato” (ammesso che esista). Attraverso contatti in comune, Renzi ha un canale di dialogo con Davide Casaleggio. Il figlio di Gianroberto, il fondatore del Movimento, dopo l’istinto di tornare alle urne, s’è convinto che la soluzione migliore sia governare.
BERLUSCONI. Chi lo incontra a Palazzo Grazioli, lo racconta quasi disinteressato alla politica, strattonato da una parte e dall’altra da Niccolò Ghedini e Gianni Letta. Il primo è un sostenitore del centrodestra unito e della fedeltà a Salvini per non scomparire. Il secondo lavora per traghettare un lembo di Forza Italia nel governo con Pd e 5S. A Forza Italia non spetta la prima mossa, dunque Berlusconi può indugiare e osservare, più che giocare, i due tavoli.
MATTARELLA. In caso di bisogno, è pronto per le consultazioni, ascoltare, annotare e per rilevare se, dopo la gialloverde, ci sono altre maggioranze in Parlamento. Non è mai stato interventista, mai lo sarà. Al Colle non c’è più Giorgio Napolitano.