Se alla vita togli lo sfizio del peccato, muori di sbadigli, me l’ha insegnato Paolo Poli, un uomo grande, uno che dire artista è dire niente, uno che correvi a vederlo a teatro, e nel mio caso era già ultra 80enne e ammirarlo era un privilegio, ne uscivi leggera, e in debito di risate, di cultura che due ore prima neppure pensavi esistesse.
E se Poli come uomo di teatro ci lascia tesori, è fuori dalle scene, come persona, che era impagabile: per la sua sottile, raffinata perfidia.
Poli non sapeva resistere al piacere di dire la sua verità, sempre, senza filtri, su ogni argomento e persona. Per farlo ci vuole carattere, e un fuoco dentro indomabile, alimentato a rabbia, e a una certa dose di frivolezza.
Per Poli nulla era più importante della sua individualità, e vivere per gustare ciò che più gli garbava. Poli era omosessuale e non l’ha mai nascosto, neppure negli anni ’50, quando dirsi tale non era uno scherzo, e non sopportava il concetto di famiglia, “mi dà noia il matrimonio tra etero, figuriamoci il resto”, e un marito non l’ha mai voluto, convinto che fosse meglio “affidarsi all’istinto, e alla perversione, come spiegano Balzac e Tolstoj.
Chi ha cervello sta bene da solo.
Madame Bovary comincia col matrimonio e finisce con l’arsenico: bellissimo, non come I Promessi Sposi, dove Lucia fa tante storie e non si fa copulare!”.
Paolo Poli aveva qualcosa da ridire pure su quella Sacra, di famiglia (“la madre rimane incinta da vergine, il padre è putativo: esempio più disastrato non ce n’è!”), e io lo ammiro per aver coltivato un’aristocratica solitudine fino alla fine, senza chiedere né spartire nulla con nessuno se non sesso veloce, furtivo, all’occorrenza a pagamento, “che poi i gigolò son tanto carini. Extracomunitari? Meglio!”.
Sicché niente doveri, se non di fronte a te stesso, e al tuo pubblico quando sei in scena.
Paolo Poli era fiero cinismo, ha dedicato la vita “al teatro, con cui ho un rapporto di concubinaggio, di tipo sodomitico, ovvio!”, e ha avuto questa fortuna, quella di aver conosciuto i più grandi del ’900, attori, scrittori, letterati.
E li faceva a pezzi ogni volta che gliene chiedevi lumi. Non salvava nessuno. Una strage di talenti, di divi parodiati, umanizzati.
Qualche esempio?
Marlon Brando: “Ti fissava languido, poi apriva bocca e parlava come Paperino!”.
Laura Betti: “Nel ’54 eravamo tra le prime ossigenate, insieme a Corrado Pani. Sempre ubriache, ma brillanti. Laura ingrassando è diventata un bolide”.
Milva: “Col mio preparato per la tintura esagerò. Uscì in scena a Bologna con la testa verde. Le dissi: ‘Oh, cretina, rimani così, non t’andar a ricuocere di rosso!’”.
Paolo Poli è stato compagno di scuola di Vittorio Sermonti: “Ci siamo rivisti e ci siamo fatti entrambi due cogl*oni così. Però che cultura!”, e per un periodo amico di Sandro Penna: “Quando si toglieva le scarpe emanava puri raggi di luce. Un modo poetico per dire che gli puzzavano i piedi. Lo so perché eravamo intimi, ma l’amore non s’è mai fatto: a lui garbavano i fanciulli”.
Niente nemmeno con Pasolini: “Non gli piacevo, mi riteneva uno str*nzo. Lui voleva i ninettidavoli, i brufoli e l’accento romanesco. A Pasolini piaceva il sesso bestiale, aveva un senso di colpa che io non ho mai conosciuto. Non era bello ma lo faceva venir duro, specie alle donne, che si innamoravano di lui col cervello, che dura di più”.
Paolo Poli ha fatto pochissimo cinema, ma ha conosciuto Fellini (“una persona luminosa, una volta mi ha fatto la piadina. Si è messo il grembiule: son cose che non si dimenticano”), e Giulietta Masina: “Diceva che in famiglia erano tutti laureati, ostentava le sue medaglie: intorno aveva tr*ie dalle quali doveva difendersi”.
E poi Roberto Benigni: “Era innamorato di mia sorella che non gliel’ha mai data. Ora è diventato correttino, una mestrina: colpa della moglie, i Braschi hanno un Papa in famiglia!”.
Ce n’è per Alberto Sordi: “Persona odiosa e omofoba. Mi dava la mano molle e si girava dall’altra parte!”, peggio per Raimondo Vianello: “Un reazionario spaventoso”, e per Carmelo Bene: “All’ultimo non stava più ritto in scena per la malattia, ma pure perché prima di ogni spettacolo beveva una bottiglia intera di whisky!”.
A Paolo Poli che vuoi che importasse dei social, sosteneva che il giudizio morale non esiste, che siamo tutti buoni e cattivi, casti e perversi, e ha fatto in tempo a demolire i selfie (“tutti oggi si fanno la fotografia, ma nel 1840 il flash fu uno shock!”).
Da ateo e da anticlericale (“il mio rapporto con Dio? Buono, ho fatto tante comunioni e ho sempre digerito”), ha passato la vita in scena a prendere in giro i preti e a travestirsi da suora, ma dava un po’ di fiducia alla Madonna e a Maria Maddalena le quali, per motivi diversi, “erano due ragazze chiacchierate”, e poi le donne più interessanti “sono le suore e le put*ane: fanno un servizio pubblico!”.
Poli aveva una cultura sconfinata, era laureato in letteratura francese (“lingua imparata leggendo Hugo e scop*ndo Pierre Cardin: è veneto, lo so, ma non importa”), e riconosceva in Franca Valeri, sua coetanea, “il mio unico maestro”.
Poli si è spogliato per Playboy posando in braccio a sua madre, e lodava le ‘colleghe’ Moana Pozzi e Ilona Staller: “Cicciolina col serpente! Nei teatri di provincia si esibivano prima di me. Carine. Meglio loro di tanti spettacoli noiosissimi!”.
Prima di lasciarci, Poli ha registrato audiolibri dell’Artusi e del Kamasutra, ed è tornato in tv: “Ho una pensione avarissima, e le marchette [la tv ndr] le facciamo tutti, bisogna sopravvivere.
Ma la RAI è orrenda: un posto dove uno lavora e dieci scaldano le seggiole col c*lo. Se uno c’ha un figlio imbecille, lo sistema lì.
Ho visto Albertazzi a Ballando con le stelle. M’ha fatto pena. Giorgio è bravo attore, ma non è mai stato un uomo troppo intelligente. La mente era Anna Proclemer, che è stata sposata con Brancati”.
Diceva Paolo Poli: “Senza i cattivi non succede nulla, lo sapeva anche il Padre Eterno: quando si accorse che Adamo si annoiava gli creò la moglie, una rompicogl*ona, che però ha fatto andare avanti la storia”.
Gli ha chiesto una volta Pino Strabioli: “Paolo, sei felice?”, “Felice no. Io sono serenella!”.