di Marco Palombi per Il FQ, 11-8-19
C’ è qualcosa di antico in questa fase del dibattito interno al Pd. Nel 2011, infatti, fu Dario Franceschini ad aprire le danze del governo Monti con un’intervista al Corriere della Sera.
Quasi otto anni dopo Matteo Renzi fa la stessa cosa sullo stesso giornale: qui accanto vi raccontiamo qual è la sua proposta per dare un governo al Paese. Franceschini dal canto suo, invece di schierarsi apertamente, stavolta ha fatto il ventriloquo sfruttando il terrore del voto dell’ex tutto toscano.
Il problema è che Renzi non si accontenta di aprire il dibattito interno sul “governo istituzionale”, ma – mentre tenta di guadagnare tempo alla legislatura – mira anche a sottrarre il partito a Nicola Zingaretti o, alla peggio, a farsene uno suo in Parlamento schierando i gruppi dem – nominati da lui – contro il partito.
Per questo ieri il nuovo segretario ha risposto in modo durissimo: “Con franchezza dico no. Un accordicchio Pd-M5S regalerebbe a Salvini uno spazio immenso. Il sostegno a ipotesi pasticciate e deboli, ci riproporrebbe ingigantito lo stesso problema tra poche settimane. Non sia il Pd a mettere a posto i conti sfasciati dalla Lega”.
Ora i dem hanno la scelta tra un’ennesima scissione o il suicidio politico: ecco un breve profilo delle tre principali squadre in campo e delle loro posizioni. In attesa che per tutti decida, in opere o omissioni, Sergio Mattarella.
RENZIANI. In sostanza faranno di tutto per impedire il voto. La crisi li ha colti di sorpresa e Renzi, che pensava di lanciare la sua lista a settembre avendo davanti sei mesi per far conoscere il marchio e raccogliere fondi, non è pronto se le urne sono in autunno: al Nazareno gli hanno già fatto sapere che, come fece lui con la minoranza, gli toccherà al massimo un 10% dei posti disponibili (15-20 eletti rispetto alla novantina attuali: una strage).
Per questo, riposto il popcorn, il fiorentino è pronto all’alleanza pure coi 5 Stelle aggrappandosi all’Iva, al taglio dei parlamentari e a qualunque altra cosa. L’ostacolo è Zingaretti, che vuole andare a votare subito. Ieri si è capito come i renziani intendano aggirarlo: facendo votare non il partito, ma solo deputati e senatori.
Il fu capogruppo Ettore Rosato lo dice chiaramente: “La proposta di governo istituzionale avanzata da Renzi non può essere liquidata con una battuta: i gruppi parlamentari dovranno discutere e sono certo che la grande maggioranza condivide la linea espressa dall’ex premier. E dunque saranno conseguenti nel voto in Aula”.
Insomma, i renziani andranno avanti in ogni caso, magari raccogliendo qualche berluscones in fuga: una minaccia di scissione in piena regola.
ZINGARETTI & C. Il segretario vuole il voto subito, lo ha garantito anche a Matteo Salvini mentre la Lega decideva di aprire la crisi: che sia anche un modo per “bonificare” i gruppi parlamentari dai renziani è un gradevole surplus.
Ora però, dopo la mossa del fiorentino, si balla. Zingaretti, per adesso, tiene la posizione, spalleggiato da Carlo Calenda: “Il piano di Renzi è folle e ridicolo: così la Lega va al 60%”.
Zingaretti, però, ha un timore: Sergio Mattarella. “Ha già fatto sapere che non ci manda al voto col rischio dell’esercizio provvisorio: rischiamo di finire con le spalle al muro”, spiega un dirigente della sua area.
È una situazione in cui, alla fine, qualunque scelta sarà un errore. Se “governo del presidente” dovrà essere, però, è il ragionamento, non potrà durare sei mesi, sennò alle elezioni il Pd semplicemente scomparirà. Roberto Morassut, già veltroniano, oggi con Zingaretti, la mette così: quella proposta da Renzi “sarebbe una soluzione asfittica e mortale per il Pd e il Paese. O voto subito per combattere la destra o, se possibile, un governo istituzionale vero, di risanamento e riforme, non a tempo (…) un governo di legislatura”.
Governo di legislatura?
Chiede il Tg1a Zingaretti: “I tempi sono prerogativa del capo dello Stato”, svicola lui. Su questa via sarà rilevante il nome che Giuseppe Conte entro il 26 agosto indicherà come commissario Ue: se fosse dell’area democratica sarebbe un segnale.
I MATTARELLIANI. Non è un’area strutturata, ma Dario Franceschini e Paolo Gentiloni ne sono i capi informali.
Come la pensano lo ho spiegato il primo: “Dopo l’intervista di Renzi invito tutti nel Pd a discutere senza rancori e senza rinfacciarsi i cambiamenti di linea. In un passaggio così difficile e rischioso, qualsiasi scelta potrà essere fatta solo da un Pd unito e con la guida del segretario”.
Insomma, si proverà a fare un governo convincendo pure Zingaretti. Intanto si sta fermi, in attesa che il tempo scorra, la crisi sedimenti e lo stesso Mattarella decida come procedere e faccia gentili pressioni sul segretario.
Un primo accordo del Pd coi 5 Stelle, peraltro, dovrebbe manifestersi già oggi nella riunione dei capigruppo in Senato: insieme i due partiti dovrebbero ottenere di spostare la convocazione di Conte in Aula al 20 agosto e non a domani come pretenderanno Salvini e il centrodestra.
Ma in molti non sono d’accordo, uno per tutti: