di Gian Carlo Caselli per Il FQ, 30-7-19
Due ragazzi nordamericani in vacanza a Roma interessati, più che alle antichità classiche, al consumo di droga. Una concatenazione di eventi che li porta sulla strada di due carabinieri chiamati a svolgere i loro compiti di tutela della legge. Il tremendo epilogo di undici micidiali colpi di coltello (o di baionetta) che stroncano la vita di uno dei carabinieri.
Il fermo dei due nordamericani sulla base di elementi probatori che paiono concreti, precisi e concordanti.
DUNQUE, un fatto di cronaca nera. Connotato da profili di speciale disumanità e ferocia, ma pur sempre un fatto di cronaca, affidato ai doverosi approfondimenti della polizia giudiziaria e dei magistrati.
Ma ecco l’imprevisto: una fotografia scattata e fatta uscire dall’ufficio dei Carabinieri inquirenti, nella quale uno dei due fermati appare (su una sedia) ammanettato e bendato.
Un fatto increscioso, che tuttavia non può e non deve alterare l’ordinario sviluppo degli accertamenti, anche se definirlo stupido e controproducente è il minimo.
Ogni persona privata della libertà che sia custodita da un rappresentante della legge, deve essere pienamente tutelata nei suoi diritti e protetta contro qualunque violenza o trattamento degradante.
È un principio assolutamente inderogabile, scritto nella Costituzione ma prima ancora nelle regole di civiltà e nel buon senso.
Prendiamo il caso di specie: esibire come un trofeo (sotto le fotografie di Della Chiesa e Falcone-Borsellino) un fermato sotto indagine bendato, equivale ad aprire nella linea d’accusa – per quanto fondata – faglie pericolose.
Utili a chi voglia contestare anche solo in parte il rispetto delle regole che presidiano le modalità di assunzione e di utilizzabilità delle prove.
Con esiti che potrebbero suonare offensivi per l’Arma dei Carabinieri, che non può restare impigliata nella sconsideratezza (per quanto imperdonabile) di questo o quel singolo; nonché per lo stesso carabiniere ucciso, che merita nient’altro che una verità piena, senza appannamenti di sorta.
Per fortuna i pericoli sembrano scongiurati. Il comandante generale dell’Arma ha subito avviato – per individuare i responsabili della foto – una rigorosa indagine, che (stando alle cronache) ha portato ad un primo risultato: il declassamento di un militare a compiti non più operativi (come a dire, absit iniuria…, che un centravanti viene retrocesso a magazziniere).
NEL CONTEMPO il Procuratore generale di Roma, confermando che la brutta storia della foto sarà chiarita fino in fondo, forte dei suoi poteri di vigilanza sulla Polizia giudiziaria e sui Pm del distretto e quindi – presumibilmente – all’esito di una specifica informativa, ha categoricamente assicurato la piena regolarità degli interrogatori. Tanto premesso, tenendo altresì conto che la ricostruzione dei fatti operata dall’accusa si basa (sempre stando alle cronache) su fatti obiettivi di indubbio peso, come ad esempio il ritrovamento dell’arma del delitto, resta poco spazio – sul piano processuale – per le polemiche che i media USA hanno subito scatenato, confortati dalle tesi di un illustre avvocato, noto per aver fatto assolvere dall’accusa penale di omicidio della moglie il celebre atleta 0.J. Simpson, poi dichiarato colpevole da una giuria in sede civile.
Certo è che se tutti abbiamo da imparare qualcosa dagli altri, gli Usa potrebbero anche ricordare che in Italia non si è mai dato un caso come quello del processo del 1969 a Bobby Seale, leader delle Black Panthers, imputato di associazione sovversiva che veniva accusato di oltraggio ogni volta che pretendeva di parlare.
Finchè, per farlo tacere, il giudice del l’udienza (Julius Hoffmann) non lo fece legare alla sedia con una catena ed imbavagliare con nastro adesivo.
Il merito del processo, in pratica, non fu neppure esaminato.