Fico:”Io mi sarei fatto processare!” e il M5S traballa
di Luca De Carolis per Il FQ, 20-02-19
“Il giorno dopo il voto che ha macchiato via l’identità, un big lo dice così: “Ormai il vecchio Movimento così com’era ha esaurito la sua funzione. E Luigi Di Maio ha tirato una linea”.
Così ora bisogna scegliere da che lato stare, con lui o contro di lui, il capo che a Di Martedì giura: “Mi state tirando per i piedi come dicono a Napoli, ma io sono vivo e vegeto e il Movimento è più vivo di me”.
Ma quel 41 per cento di sì al processo per Salvini sulla piattaforma Rousseau ai dissidenti sembra già una conta dei buoni, di quelli della vecchia guardia e dei vecchi principi, insomma la miccia per prove tecniche di mino- ranza.
E IL LEADER invocato per l’alternativa è ancora lui, Roberto Fico, il presidente della Camera “rosso”.
L’ortodosso che non ha mai voluto fare il capo corrente, e che in chiaro tace, di un silenzio pesante. Ma a chi lo ha sentito ieri Fico ha ripetuto la sua verità: “Ho già detto pubblicamente che se una richiesta di autorizzazione a procedere arrivasse a me mi farei processare”.
Ed è un’altra linea, opposta a quella di Di Maio. Un altro contraccolpo dell’ordalia sul web, ma non certo l’unico, perché dal voto sulla Diciotti è nato un malessere che può diventare diaspora.
E cresce velocissimo, nutrito da un paradosso. Perché Di Maio vuole un Movimento di struttura, radicato sui territori, pronto ad allearsi con le civiche e con una segreteria politica.
Quindi un partito.
Però proprio sui territori tanti attivisti e eletti locali, quelli che dovrebbero dare al Movimento gambe più solide, protestano, se ne vanno o minacciano di farlo.
E la rabbia è un virus, soprattutto dove il M5S è già ferito.
Così esplodono, le chat di attivisti e eletti locali nella Puglia del Tap e dell’Ilva, le promesse infrante.
E trabocca l’umore nero nel Piemonte del Tav, l’ultimissima bandiera esposta a forti venti.
Con tutto il gruppo comunale di Torino che voleva il via libera all’autorizzazione, “perché il governo non rischia, il Movimento sì”.
E per tutelare quella diversità che era quasi tutto si era mossa anche Chiara Appendino.
Irritata anche perché è quasi saltata la candidatura di Torino come sede delle Atp Finals, e la Lega c’entra più di qualcosa.
“Ma protestano da tutte le regioni” soffia un parlamentare, che invita a guardare la bacheca Facebook di Fico: un dazebao dell’insoddisfazione, con un utente che lo esorta “a mollare questo governo prima possibile”.
Invece un ortodosso di peso mostra una chat che è tutta protesta, e racconta (o accusa): “In diversi stanno cancellando l’iscrizione alla piattaforma Rousseau, cioè al M5S”.
E di certo ha detto addio Francesca Menna, ex consigliera comunale a Napoli vicina a Fico, dimessasi per protesta contro l’accordo di governo con la Lega.
“Il voto sulla Diciotti ha confermato la distanza tra me e il progetto dei 5Stelle” geme.
E d’altronde tutti ma proprio tutti i fichiani alzano la voce.
Con la senatrice Paola Nugnes che ironizza: “Mario Giarrusso dice che non ci sono spaccature? No, si è solo aperto il Mar Rosso…”.
Mentre il presidente della commissione Cultura della Camera, Luigi Gallo, già chiama alle armi: “Il 41% degli iscritti chiede ai vertici un cambio di passo e il ritorno ai principi del M5S, ed è pronto a mobilitarsi”.
Ed eccola la conta, da quella Montecitorio dove i malpancisti si stanno raggrumando. Così Gloria Vizzini sul Fatto ha annunciato di non voler votare la legittima difesa, totem del Carroccio.
Mentre Veronica Giannone lo scrive su Instagram: “Accetto il risultato ottenuto nella votazione. Ma resto convintamente nel 40,95 per cento”.
Entrambe sono tra i firmatari della email con cui 18 deputati a novembre chiesero al capogruppo Francesco D’Uva modifiche al decreto sicurezza, noto anche come il dl Salvini.
E il punto PUNTO di riferimento è sempre lui, Fico.
Assente all’assemblea congiunta di lunedì sera, in cui Di Maio ha ratificato lo scampato pericolo sulla Diciotti e le sue idee per un nuovo M5S.
L’assise in cui Paola Taverna ha minacciato lo sfratto “per chi non accetta l’esito della votazione”, rispolverando come un anatamente una parola che pareva archeologia, “talebani”.
Però pochis- simi hanno suonato una nota diversa da quella del capo. Il senatore Nicola Morra, per il sì all’autorizzazione, ha citato l’adagio di Antonio Gramsci: “Istruitevi, agitatevi, organizzatevi”.
Ed era un po’ un con- siglio, un po’ uno sberleffo. In- vece il deputato veneto Federico D’Incà ha citato dei numeri: “Qualche anno fa in una provincia della mia Regione avevamo 51 liste del Movimento, ora siamo scesi a 15”.
Tradotto, mancano i candidati, anche per il cappio dell’obbligo dei due mandati. Di Maio ha ugualmente frenato: “Quella regola non si tocca”.
Ma dopo le Europee se ne riparlerà.
Intanto con i dissidenti che si fa?
“La pazienza sta finendo” ringhiano dai piani alti. Ergo, se in Senato qualcuno dovesse votare a favore del processo a Salvini rischierebbe l’espulsione.
Nel frattempo Di Maio assicura che con Beppe Grillo va tutto benissimo: “Lo sento Grillo al telefono, ci siamo sentiti oggi pomeriggio. E nei prossimi giorni andiamo a pranzo insieme”.
E non capita spesso.”
E il “capitano” sorride:
“SIAMO UNA SQUADRA, al governo c’è una squadra, non ci sono dei singoli, quindi ringrazio per la fiducia della squadra”.
Dopo aver superato indenne sia la consultazione sulla piattaforma Rousseau che il voto in Giunta per l’autorizzazione a procedere, Matteo Salvini può di nuovo usare parole al miele per l’alleato di governo. Cortesie, ma nulla di più.
Ci pensa il capogruppo alla Camera della Lega, Riccardo Molinari, a chiarirlo di buon mattino: “Qualsiasi idea di scambio sull’autorizzazione a procedere nei confronti del ministro Salvini la classifichiamo come volgarità”.
Tradotto: niente scambi con lo stop all’autonomia differenziata. “Siamo felici- dice Molinari – che il Movimento con la consultazione si sia convinto a fare quello che secondo noi è giusto fare. Siamo un po’ più perplessi per le modalità scelte perché riteniamo che quando si hanno incarichi di governo bisogna essere conseguenti alle proprie dichiarazioni. C’è una sorta di schizofrenia in alcune dichiarazioni dal mio punto di vista”.
E così, nonostante l’abiura benedetta dalla base, i grillini si beccano pure le critiche dell’alleato.