di Luca De Carolis per Il FQ, 12-10-19
Dieci anni dopo, la foto di ieri non combacia con quella di oggi. Perché ora il Teatro Smeraldo a Milano, dove il 4 ottobre 2009 Beppe Grillo battezzò i suoi Cinque Stelle, è un ristorante della catena Eataly, quella del renziano (tuttora?) Oscar Farinetti.
E il Movimento sorto per abbattere i partiti governa con il Pd, dopo un anno e mezzo con la Lega. Ma tanto in politica conta solo il presente, con il M5S che da questa mattina si ritroverà a Napoli per la sua festa, Italia5Stelle, due giorni per celebrare un compleanno. IN DIVERSI, però, non hanno voglia di soffiare sulle candeline.
Così alle note assenze delle ex ministre Giulia Grillo e Barbara Lezzi si aggiungeranno altri tra eletti e attivisti storici, una porzione non piccola del corpaccione del Movimento che ce l’ha sempre con lui, il capo politico Luigi Di Maio, accusato di essere un autocrate, di decidere da solo. Ed è attorno a questo cronico nodo che ruoterà la festa.
Perché ai piani alti il timore è quello di una scarsa affluenza proprio per il malessere interno. E c’è chi teme anche qualcosa in più, contestazioni più o meno organizzate. Anche per questo sarà fondamentale la presenza di Beppe Grillo, che all’ora di cena parlerà dal palco dell’Arena Flegrea.
Il fondatore e garante proverà a ridare corpo a un Movimento slabbrato, affaticato dalle mille novità calate dal capo e vidimate sul web dagli iscritti (dal mandato zero al patto elettorale in Umbria).
Per paradosso la principale innovazione è quella che Di Maio non avrebbe mai voluto, l’accordo di governo il Pd. “Ero il più scettico di tutti, ma Grillo e il voto su Rousseau hanno deciso così”, ha ammesso il ministro. E stasera il garante tornerà a dire che la strada è quella, costruire un nuovo centrosinistra.
Se ne è fatto una ragione anche Di Maio, che con il Pd non si trova male. “I dem sono seri, spesso collaborativi e spesso autonomi dai vertici, mentre nella Lega decideva tutto Matteo Salvini”, raccontano 5Stelle di governo.
Poi, certo, c’è Matteo Renzi, con cui Di Maio ha giocato di sponda sull’Iva e a cui giorni fa ha chiesto di non portarsi via altri eletti grillini.
Ma i problemi il capo ce li ha sempre, e specialmente, in casa. Così da Napoli rilancerà sul team del futuro, una squadra di 12 persone ripartite per temi nazionali, a cui affiancherà decine di referenti regionali.
Sarà la struttura a 5Stelle, con ruoli a cui ci si potrà candidare, e dal palco Di Maio spiegherà le modalità.
Ma non solo, “lanceremo anche nuove riforme” ha garantito ieri. Potrebbe parlarne oggi sul palco con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, assieme a cui si farà intervistare.
E saranno sorrisi per forza, tra due uomini che convivono nella distanza, allargatasi nelle ultime settimane. E poi c’è tutto il resto.
C’è l’umore cupo dei tanti parlamentari che invocano un’assemblea degli iscritti nella quale riscrivere regole e rotta. E per molti di loro il primo obiettivo resta tirare giù Di Maio, capo rinnovabile da Statuto. Che però ha un vantaggio non da poco, di capi alternativi non se ne vedono all’orizzonte. Anche Di Maio sa che i big vogliono una cabina di regia, una vera segreteria.
Mentre gli attivisti guardano da fuori. E spesso non capiscono. Il senatore romano Emanuele Dessì riassume: “In questa fase dobbiamo riconquistare elettori. C’è bisogno di una scossa, di recuperare entusiasmo”.
Anche nella Regione Lazio governata dal segretario dem Nicola Zingaretti. Il laboratorio dell’alleanza col M5S, dove tre giorni fa i dieci consiglieri grillini si sono spaccati, ufficialmente sull’elezione del nuovo capogruppo, di fatto sulla trattativa con il Pd per sostituire due assessori entrati nel governo con tecnici graditi al M5S.
ALLA FINE è stata riconfermata Roberta Lombardi, il cui voto da regolamento è valso doppio. “Una forzatura opposta al principio d el l ’uno vale uno”, accusa la consigliera Valentina Corrado. Per tenere a bada i suoi, Lombardi ha promesso il sì del M5S a una mozione di sfiducia della Lega per Zingaretti, proprio lei fautrice dell’intesa coi dem.
Ma il Pd è tranquillo, perché in Consiglio ha i numeri. E il governo con Di Maio non dovrebbe risentirne.