di Tommaso Rodano per Il FQ, 20-7-19
“Hanno fatto una certa impressione le parole di Eugenio Scalfari su Repubblicadel 17 luglio: “Valutando il Conte di oggi non è affatto escluso pensare che ripeta in qualche modo le idee di Moro”.
Il fondatore, decano del giornalismo “progessista”, si riferisce al Compromesso storico e al rapporto tra Democrazia cristiana e Pci, “perennemente distinti”, “ma alleati insieme per ricostruire la democrazia italiana moderna e da lì partire per un mondo politico bilaterale”.
E propone implicitamente un parallelo con un ipotetico asse tra il Pd e i Cinque Stelle guidati da Conte, in funzione europeista e anti-salvinana.
“A me – conclude Scalfari – sembra che Conte sia oggi l’uomo del giorno e che possa creare un’Italia europea degna di poter essere positivamente valutata dai suoi alleati e soprattutto dai suoi abitanti”.
Il fondatore di Repubblica non è nuovo a idee e visioni un po’ eccentriche, ma l’analisi con cui accosta il nome del presidente del Consiglio a quello di uno dei padri nobili della storia politica italiana fino a pochi mesi fa sarebbe stata semplicemente impensabile.
Quello che agli occhi della stampa mainstream e di un bel pezzo di e stablishment era solo un avvocato azzeccagarbugli, una mezza figura al servizio della visione populista del Salvimaio, ora è un profilo che gode (da quegli stessi ambienti) di rispetto e del riconoscimento di una sua personalità politica autonoma.
DA CAPO di un governo teoricamente euroscettico, Conte è andato a Bruxelles per mediare con “i burocrati” sulla procedura d’infrazione sul bilancio italiano. È riuscito nell’obiettivo di ottenere un margine di manovra per il suo governo e un’apertura di credito dalle cancellerie europee.
Poi con l’appoggio alla tedesca Ursula von Leyen alla presidenza della Commissione, Conte ha trainato definitivamente il governo italiano – e i Cinque Stelle – dall’altra parte della staccionata: quella di Angela Merkel e Emmanuel Macron, i “buoni”, i custodi dello status quo continentale.
Al centro della scena politica italiana ora da una parte c’è lui, il premier, dall’altra Matteo Salvini e la Lega. A essere assorbito in questa sorta di nuovo scenario “bilaterale” (per citare Scalfari) è il Movimento di Luigi Di Maio.
Il quadro, rispetto alla nascita del governo è decisamente cambiato. Non ci sono più le tre sfere di prima: i gialli da una parte, i verdi dall’altra e sopra di loro il “partito del Colle” dell’avvocato-premier e dei suoi ministri tecnici e rassicuranti, Giovanni Tria all’Economia e Enzo Moavero Milanesi agli Esteri.
Conte si è dotato di personalità propria e ha annesso i Cinque Stelle in crisi di consensi e di identità, trascinandoli tra i “buoni” di cui sopra.
IL NUOVO scenario è fotografato nell’ultimo sondaggio dell’istituto Ipsos di Nando Pagnoncelli, pubblicato ieri sul Corriere della Sera. Salvini e la Lega continuano a crescere alla faccia dei rubli e del Metropol – e arrivano a un passo dal 36% (alle Europee avevano il 34,3).
Il Movimento 5 Stelle è praticamente immobile al 17,4% (a fine maggio era 17,1).
Ma la figura più apprezzata del governo è proprio Giuseppe Conte, che gode della fiducia del 58% degli intervistati, quattro punti percentuali in più del popolare “Capitano” leghista.
Di Maio è molto staccato: il suo indice di gradimento è al 34%, comunque in ripresa nell’ult imo mese. Conte raccoglie giudizi positivi tra gli elettori di quasi tutti i partiti: è apprezzato dal 71% dei leghisti, dal 93% dei pentastellati, dal 55% di chi vota Forza Italia o Fratelli d’Italia, ma lo stima anche il 34% di chi vota Pd.
Un dato che riporta alla considerazione di partenza: il presidente del Consiglio non è più percepito come un burattino, ma soprattutto non è più considerato una minaccia – semmai una garanzia – da molti di quelli che lo ritenevano uno strumento nelle mani dei “barbari”.
COSÌ SI ARRIVA al paradosso della popolarità trasversale di Conte, proprio mentre si sgonfia il Movimento 5 Stelle che l’ha scelto come premier e proprio mentre l’inerzia dell’esecutivo si concentra sempre più a destra nelle mani di Salvini.
E si spiega il paradosso ancora più grande: il fondatore di Repubblica che paragona l’ex avvocatucolo ad Aldo Moro e lo descrive, in sostanza, come l’argine a una deriva anti-europeista in Italia.
Non deve essere un caso che in questi giorni le attenzioni di Salvini sembrino essersi spostate dall’ex dioscuro Di Maio al presidente del Consiglio.
Il campo da gioco è cambiato e sono cambiati i capitani.”