Luciano Odorisio

E per fratello un bastardo di nome Topolino

Lo incontrammo casualmente, in campagna, presso una casa colonica dove eravamo andati ad assaggiare del vino per la nuova stagione.

Ogni anno era la solita scampagnata a piedi nelle zone circostanti a fare provvista di vino per l’inverno.

C’era il rituale dell’assaggio, due fettine di salame o di salsicce secche, una scaglietta di formaggio pecorino, pane fatto in casa e vai col goccetto.

E si tornava a casa ‘mbriachi come seppie.

Un goccio qua, un goccio là.

Io mia madre e mio padre, soprattutto mia nonna Maria che fra i contadini della zona passava per una vera sommellier.

Il bastardino era lì, dietro un albero dalle foglie larghe, intimidito, con lo sguardo pietoso di chi cerca famiglia e fissava me, proprio me.

Aveva capito che ero figlio unico e che vivevo il disagio della solitudine, che sentivo la mancanza di un fratellino.

Forse anche lui era figlio unico, forse anche lui soffriva la solitudine da come mi guardava.

Era un bastardino qualsiasi.

Un cane di razza fa fare bella figura, viene invidiato, i padroni adulati, pensai io, ma un bastardo è rifiutato da tutti.

Forse per questo era stato abbandonato o forse non aveva mai avuto una famiglia.

Mi guardava come a dire che era lui il mio fratellino tanto voluto, tanto desiderato.

E in quel momento ci scegliemmo, lui scelse me, io lui.

Mio padre oppose una debole resistenza, già fiaccato da mia madre nel corso della loro vita insieme.

A lui davi la musica e il resto era silenzio.

Mia mamma cercò di argomentare il rifiuto, tirando avanti.

In fondo avevo le mie cugine, a cosa poteva servirmi un cagnolino?

No, non era lo stesso, per la prima volta mi opposi, imputandomi con il cagnolino che già mi scodinzolava fra le gambe.

Le mie cugine non mi bastavano, anche perchè ero letteralmente bullizzato da una di loro, mia coetanea, che mi faceva la qualunque pur di accampare la sua supremazia sul piccolo gruppo familiare dove mi accoglievano per giocare e io non ero ancora attrezzato per la vita, per difendermi.

E allora mi rinchiudevo in quel mio piccolo mondo, quel piccolo appartamentino dalla conformazione circolare, una stanza si apriva sull’altra, senza corridoi, facendo il giro tutto intero di casa e come nel gioco dell’oca ci si ritrovava alla porta d’ingresso.

Non c’erano vie di fuga trasversali.

E quando correndo per sfuggire ad una punizione di mio padre mi ritrovavo alla porta d’ingresso c’era sempre lei, mani sui fianchi, a sbarrarmi la strada, mia madre!

Su per la Salita del Gas, fuori città, all’ultimo piano, quell’appartamentino che mia nonna concesse a mio padre, con un balconcino con balaustra di stecche di ferro da dove si vedeva la campagna a distesa e valli e colline, una specie di via Gluck alla mia maniera…

Solo che Celentano aveva un amico, io no.

Si certo, ero trattato come un principino, tutto girava intorno a me, ma ero un principino solo, triste, e il tempo non passava mai.

E il bastardino stava lì, pronto per diventare mio fedele amico per la vita.

E mia madre finalmente chiuse un occhio, mia nonna li chiuse tutt’e due, ‘mbriaca  com’era.

A mia nonna piaceva la libagione.

E lo prendemmo a bordo, tutti apparentemente felici e contenti della scelta.

Mia nonna soprattutto che ne approfittò per un altro goccetto da una fiaschetta sgraffignata all’incauto contadinotto dell’ultima casa colonica.

E intonò a squarciagola «Ti si’ fatt’ la vesta giall’ co’ li soldi de lu  maresciall’, Maria Nicola-a-aaa…ma chi te l’ha fatt’ fa, eri ‘na bella petecona, te potevi marità-aaa…»

Mia nonna era la pecora nera della famigliola.

Mio nonno, che amava raccontarmi sempre quelle storie che lo vedevano protagonista contro lupi mannari all’abbeveratoio dei cavalli, non c’era più.

Mia nonna gli sopravvisse alla grande, ma questa è un’altra storia.

Tornammo a casa e gli diedi subito un nome, Topolino, all’epoca ero preso dai fumetti di Walt Disney, ero molto piccolo.

E passammo così due tre anni insieme d’amore e d’accordo.

Lo adoravo il mio Topolino, ci parlavo, ci capivamo, eravamo servizievoli l’un per l’altro.

Ma lui nel frattempo aveva sviluppato anche una seconda amicizia proprio con nonna Maria la ‘mbriacona, quella che quando i miei non c’erano, scassinava il mobiletto dov’era la damigianetta del vino, se ne faceva qualche bicchiere e poi ci rabboccava dell’acqua per pareggiare il livello.

E la sera a tavola spesso sentivo mio padre dire a mia madre:

«Evelì, ma questo vino era così bell’asprigno…non ti sembra un pò annacquato?»

A mia madre fortunatamente non sembrava, un assaggio tirava l’altro, e mia nonna affermava categoricamente dall’alto della sua cultura enologica che era normale che dopo un pò il vino tendesse a perdere il suo corpo bello tosto per un sapore meno forte…

«Bah…», si limitava a chiudere il discorso mio padre.

Spesso Topolino restava solo con lei e quando si rientrava notavamo che lui ci sorrideva strano mentre nonna faceva finta di nulla, intenta a sfornellare con la leggerezza di una libellula, svolazzando di qua di là tutta roscia sulle gote e risatelle improvvise, soffocate sul nascere.

Era solo un’impressione ma una sera…

Rientrando improvvisamente trovammo la dispensa spalancata, la damigianetta ormai era solo acqua, due polli già spiumati divorati da Topolino e i due che cantavano abbracciati insieme «Oh, mia bella Gicogin…»

Scattò un’epurazione senza appello.

Mia nonna fu spedita dal’altra sorella di mia madre, Zi ‘Ngiulin’, che faceva sagne fascioli che ci venivano da fuori per poterla gustare e Topolino sparì, improvvisamente.

Mia madre, una furia!!

Il giorno dopo, era un compleanno e lei ci teneva ai due pollli da fare con i peperoni.

Ecco, questa è la triste storia di me e Topolino, l’unico cagnolino della mia vita, il fratellino che non ho avuto.

Mi dissero che era scappato di casa, così, all’improvviso.

Mi disperai così tanto nei giorni seguenti, nei mesi seguenti, ero ridiventato il principino triste..

Mia madre, malefica, arrivò a dargli dell’ingrato perchè scappato di casa, ci aveva abbandonato.

E io speravo tanto che tornasse.

Ma poi venni a sapere che proprio lei, mia madre, come la odiaii in quel periodo, l’aveva portato al canile dove probabilmente aveva fatto una brutta fine.

Oooh, Topolino, dove sei ora…la mia infanzia non fu più la stessa…crescendo la perdonai mia madre, poi seppi che non fu il solo episodio di impertinenza del mio fratellino a quattro zampe, ma quel pensiero doloroso mi accompagna ancora oggi…soprattutto oggi che sono invaso dai ricordi…di una vita ormai passata…

Ciao Topolino

 

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