Di Battista e Casaleggio, i falchi sconfitti…
di Paola Zanca per Il FQ, 27-8-19
Ci mettono tre ore a capire che la strada è segnata.
E anche se metà di loro si “tura il naso”, anche se Davide Casaleggio si è portato i fogli che fotografano l’amaro s en timent della base, anche se Alessandro Di Battista si deve rimangiare metà dei comizi che ha fatto negli ultimi cinque anni, finisce con un sì.
Perché Luigi Di Maio ha chiesto “massima condivisione”.
Tradotto, non ha intenzione di lasciare il vertice sul Lungotevere senza che tutti si siano caricati sulle spalle una delle decisioni più difficili che il Movimento abbia mai affrontato.
QUANDO ALLE 18 meno qualche minuto convoca Nicola Zingaretti a Palazzo Chigi, il via libera dello stato maggiore Cinque Stelle è cosa fatta.
Beppe Grillo aveva annunciato il suo arrivo, ma alla fine non si è visto: poco male, lui è stato il principale sostenitore dell’intesa con i democratici, nonché il main sponsordel ritorno di Giuseppe Conte a Palazzo Chigi, catapultato in fretta e furia nell’olimpo degli “elevati” a cui lo stesso Grillo sostiene di appartenere.
Sulle stesse posizioni del garante ci sono Nicola Morra e Roberto Fico, a quanto pare gli unici davvero esasperati dall’espe – rienza con Matteo Salvini.
Il resto è una nutrita pattuglia di realisti, convinti più per forza che per principio che sia la scelta giusta da fare.
Ci sono i ministri uscenti – gli unici due per i quali il leader M5S avrebbe chiesto garanzie – Riccardo Fraccaro e Alfonso Bonafede. Perplessi ma alla fine consapevoli che ““se cade il governo salta tutto quello che abbiamo fatto finora, sarebbe un errore clamoroso”.
C’è il taglio dei parlamentari, arrivato all’ultimo voto, c’è il Reddito di cittadinanza che va messo in sicurezza, c’è la riforma della Giustizia. E poi – si ragiona al vertice – “comunque vale la pena provarci, perché le conseguenze dell’aumento dell’Iva sarebbero devastanti”.
Tocca ai due capigruppo, Francesco D’Uva e Stefano Patuanelli, mettere sul tavolo la questione dei gruppi parlamentari: nessuno vuole il voto – né quelli al primo né tantomeno quelli al secondo mandato – e se a qualcuno venisse la malaugurata idea di riaprire la porta alla Lega, è derebbe una buona fetta di eletti per strada. Non lo citano come un caso di scuola, no.
Perché in collegamento telefonico c’è Alessandro Di Battista che sta provando ancora una volta a convincere i colleghi che tornare indietro si può. “Non possiamo consegnarci alle minoranze renziane – dice l’ex deputato – Ho paura che un accordo con il Pd tiri la volata alla Lega: a questo punto meglio ricostruire l’alleanza gialloverde, con Salvini fuori”.
Un’ipotesi che ovviamente non ha appigli nella realtà. Eppure Di Battista spera di far breccia in Luigi Di Maio, che tutti sanno essere tra i meno convinti dell’accordo con Zingaretti. Insiste sulle battaglie che sarà complicato affrontare insieme al Pd, come la revoca delle concessioni autostradali ai Benetton.
E trova sponda in Davide Casaleggio, che a Roma ha portato i report sugli umori degli iscritti, la rassegna delle interazioni social delle ultime giornate.
Dicono che è meglio fermarsi, gli elettori del Movimento. Ed è per questo che l’erede di Gianroberto impone il voto su Rousseau, a costo di derogare al regolamento secondo cui agli iscritti andrebbero concesse ventiquattr’ore di preavviso.
Si voterà oggi – salvo ripensamenti dell’ultimo minuto –il pacchetto del nuovo governo, con la speranza che il nome di Conte metta a tacere i riottosi.
LA LINEA Di Battista – lui che contro la riforma Renzi ha girato l’Italia in scooter e che si prepara a curare il primo libro per Fazi, argomento: Bibbiano – non passa.
Anche Paola Taverna, che fino all’al – troieri era tra le più convinte sostenitrici del ritorno al voto, alla fine in collegamento telefonico “si tura il naso”e dà il via libera. Fuori il messaggio è chiaro.
E anche uno come Manlio Di Stefano, che ancora venerdì durante un pranzo con Di Maio provava a convincerlo ad ascoltare le sirene della Lega, twitta il cambio di linea: “Salvini, un consiglio, dopo quello che hai combinato per arroganza e voglia di potere, devi solo stare zitto e vergognarti”.
Forse Di Stefano dovrebbe ascoltarne un altro, di consiglio.
È quello che Gianluigi Paragone – pure lui tra i sostenitori del ritorno con Salvini – rivolge a Conte: “Gli manca un po’ di malizia: nel discorso dell’altro giorno alla Camera forse mi sarei coperto un po’ di più… In politica mai dire mai”.