di Adalberto Signore per Il Giornale
«Se questo governo parte, è altamente probabile che duri a lungo. E per noi è un problema, perché rischiamo di finire all’opposizione per anni».
Il Matteo Salvini che si sfoga in privato durante gli incontri avuti ieri a Genova è ben diverso dal leader senza esitazioni e con molte certezze che si presenta davanti a telecamere e dirette Facebook. Il ministro dell’Interno è stanco, segnato da una fatica che non è tanto fisica, quanto mentale.
Perché il timore di aver sbagliato tutto, tempi e modi di una crisi agostana che non ha precedenti, gli sta levando il sonno. Martedì scorso in Senato, poco prima del voto che lo ha visto schiantarsi contro l’inedita maggioranza uscita dall’asse M5s-Pd-Leu, non ne ha fatto mistero con alcuni senatori della Lega.
«Sto dormendo poco e male», ha confidato. E anche a loro non ha nascosto i dubbi delle ultime ore: «Finché c’è Renzi che fa così è difficile che partano con un altro governo. Ma se la partita passa ad altri, allora il rischio è alto».
Insomma, anche Salvini in privato ammette di essersi infilato in un labirinto la cui via d’uscita è ben più complicata di quanto si aspettava. D’altra parte, il Parlamento e i suoi regolamenti e i modi e i tempi dettati dalla Costituzione non si possono bypassare con una diretta social.
Glielo aveva detto decine di volte Giancarlo Giorgetti, che martedì sera intercettato dai cronisti dopo il voto di Palazzo Madama non ci ha girato intorno. La tempistica della crisi l’ha dettata Salvini, «un capo decide da solo e alla fine sono responsabilità personali».
Parole dure per il sottosegretario alla presidenza del Consiglio che non nasconde che «sarebbe stato più facile andare a votare se la crisi fosse stata aperta prima».
Un Giorgetti anche lui provato. Non solo dagli ultimi mesi di sofferenza in un governo che ormai mal sopportava da tempo, ma anche da un colloquio serale con il Quirinale contatto che non trova però conferme ufficiali dai toni piuttosto tesi.
La proposta di Salvini al M5s di «approvare definitivamente il taglio dei parlamentari la prossima settimana alla Camera e poi andare subito al voto» non è affatto piaciuta a Sergio Mattarella, visto che si tratterebbe di una strada di fatto non percorribile perché precluderebbe la possibilità dell’eventuale referendum popolare previsto dall’articolo 138 della Costituzione (che può essere richiesto nei tre mesi successivi all’approvazione da un quinto dei deputati o dei senatori).
Che Salvini nel suo discorso in Senato si sia spinto fino a questo punto, insomma, al Colle è stato interpretato come l’ennesimo segnale di «mancanza di serietà».
E i toni della conversazione tra il Quirinale e Giorgetti sono stati più o meno questi: avete aperto di fatto la crisi l’8 agosto ma ancora non si capisce che volete fare, è arrivato il momento di comportarsi in maniera seria.
Tutte obiezioni su cui Giorgetti non ha potuto che dirsi d’accordo, salvo poi aggiungere che della strampalata proposta di Salvini lui non ne sapeva assolutamente nulla. Niente, zero, mai sentita prima che la buttasse lì nell’aula del Senato.
Una scelta, confidava ieri in privato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, «scellerata». Un segnale di debolezza, il tentativo di rimandare la palla ai Cinque stelle dopo aver fatto la voce grossa aprendo la crisi e chiedendo le dimissioni di Giuseppe Conte.
Questo, dunque, il clima in casa Lega.
Dove ci si prepara all’intervento in Senato del premier di martedì prossimo, altra giornata ad alta tensione.
Iniziano infatti a girare i grezzi dei primi sondaggi post crisi e Salvini starebbe registrando una flessione proprio a causa di questa improvvisata crisi agostana.
Flessione che potrebbe essere acuita dal passaggio a Palazzo Madama. Una cosa, infatti, è incrociare la spada con Danilo Toninelli, un bersaglio per così dire facile.
Altra è il monologo di un premier che ha comunque un buon tasso di gradimento e che picchierà come mai prima su Salvini, attribuendogli la responsabilità non solo della crisi, ma anche di qualunque eventuale governo verrà dopo.
È per tutte queste ragioni che il ministro dell’Interno teme di restare in mezzo al guado. Al punto che ieri ha mandato avanti il titolare dell’Agricoltura Giancarlo Centinaio a dire che lui «non chiude le porte fino in fondo» al M5s visto che «tanti colleghi parlamentari grillini piuttosto che andare con Renzi preferiscono tornare con la Lega con un nuovo contratto di governo».
Insomma, se non fosse uno scenario farsesco ben oltre i limiti del ridicolo, si potrebbe quasi pensare che Centinaio stia ipotizzando un Conte bis.
Centinaio, sì.
Lo stesso che 48 ore fa nell’aula del Senato chiosava l’intervento del capogruppo grillino Stefano Patuanelli con un eloquente «ma con chi cazzo abbiamo governato!».