di Daniela Ranieri per Il FQ, 24-9-19
Tenendo conto che l’intelligenza e la saggezza appartengono a quel tipo di grandezze che messe insieme non si sommano ma fanno media, cosa pensereste di una legge o di una risoluzione votata concordemente da Berlusconi, Pisapia, Fitto, Calenda, Tajani, Picierno, Moretti e leghisti vari?
Nelle sfere eteree del Parlamento europeo, dove già sedettero personalità del calibro di Iva Zanicchi, Mario Borghezio, Barbara Matera e Matteo Salvini (quest’ultimo non troppo spesso, in verità), costoro, tra gli altri, hanno appena votato all’unisono una risoluzione con cui l’Europa esorta-obbliga gli Stati membri a condannare alla pari nazismo e comunismo (chiamato anche disinvoltamente stalinismo).
LA RISOLUZIONE, passata con 535 voti a favore, 66 contrari e 52 astenuti e pretenziosamente intitolata “Importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa”, sorge dalla preoccupazione di veder risorgere copie del nazi-fascismo (già condannate con la risoluzione del 25 ottobre 2018) ma anche del comunismo (chissà dove le vedono: la cosa più comunista degli ultimi anni è stata Bandiera rossa cantata dai grigliatori di salsicce alla festa dell’Unità).
Ora, le probabilità che una qualunque cosa votata insieme da Pd, Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega fosse demenziale o dannosa (vedi Tav e leggi elettorali) erano già alte. Ma come si fa a mettere sullo stesso piano quelli che deportavano, gassavano e bruciavano le persone nei forni crematori e quelli che hanno sconfitto Hitler?
Il punto 17 della risoluzione sfiora il tautologico: il Parlamento “esprime inquietudine per l’uso continuato di simboli di regimi totalitari nella sfera pubblica e a fini commerciali e ricorda che alcuni paesi europei hanno vietato l’uso di simboli sia nazisti che comunisti”.
Cioè, sorvolando sul fatto che il comunismo nacque come ideologia per la liberazione delle masse oppresse e il nazismo come ideologia razzista di esaltazione della morte, per questi sempliciotti la falce e il martello sono equivalenti alla svastica, ai busti di Hitler, ai vini di Mussolini.
Prova ne sarebbe il bando che vige nei Paesi anticomunisti, che però hanno tutt’altra storia rispetto all’Italia, dove i comunisti, insieme alle altre forze antifasciste, hanno scritto la Costituzione.
Bizzarro il punto 18: il Parlamento “osserva la permanenza, negli spazi pubblici di alcuni Stati membri, di monumenti e luoghi commemorativi (parchi, piazze, strade, ecc.) che esaltano regimi totalitari, il che spiana la strada alla distorsione dei fatti storici… nonché alla propagazione di regimi politici totalitari”.
Quindi, questo Parlamento che osserva le piazze e i monumenti – e perciò non ha tempo di studiare – ritiene che “via Stalingrado” sia pari a “via Hermann Göring”, e che le targhe a memoria dell’Armata Rossa che il 27 gennaio 1945 liberò Auschwitz (no, non furono gli americani come nel film premio Oscar di Benigni) spianino la strada alla riapertura dei gulag.
Patetico il paragrafo J, in cui si ricorda il 50° anniversario del patto Molotov-Ribbentrop, quando “le vittime dei regimi totalitari sono state commemorate nella Via Baltica, una manifestazione senza precedenti cui hanno partecipato due milioni di lituani, lettoni ed estoni, che si sono presi per mano per formare una catena umana da Vilnius a Tallinn… ”.
Facciamoci spiegare il patto Molotov-Ribbentrop da Alessandro Barbero, che conosce la Storia un po’ meglio degli eruditi parlamentari.
Nel ’39 Stalin propose a Francia e Inghilterra un accordo che prevedeva l’invio di 2 milioni e mezzo di soldati russi al confine con la Germania. Le due potenze traccheggiavano, e l’accordo saltò.
Del resto l’Inghilterra vedeva con simpatia Hitler: la Germania era il “baluardo dell’Europa contro il bolscevismo”.
Il 23 agosto l’Unione Sovietica, sfibrata dalla guerra col Giappone in Mongolia, per difendere i suoi confini firmò il patto Molotov-Ribbentrop.
NEL 2019 ci volevano Berlusconi, la Picierno e Pisapia (che in sostanza mette al bando sé stesso, essendo stato deputato di Rifondazione Comunista per due legislature), a spiegarci che in realtà erano tutti uguali: Marx e Stalin, Terracini e Goebbels, Lenin e il dottor Mengele.
Ci volevano questi ottimati lib-dem in comunella coi leghisti amici di CasaPound, per minimizzare in un pastone bipartisan i crimini del nazi-fascismo con un “e allora le foibe?” di pedantesca burocrazia.
Consigliamo una rilettura di Primo Levi, a Bruxelles: “Ci pareva, e così era, che il nulla pieno di morte in cui da dieci giorni ci aggiravamo come astri spenti avesse trovato un suo centro solido, un nucleo di condensazione: quattro uomini armati, ma non armati contro di noi; quattro messaggeri di pace, dai visi rozzi e puerili sotto i pesanti caschi di pelo”.
Erano i russi, e non erano affatto uguali ai nazisti, checché ne dica questo Parlamento che riscrive la Storia grazie alla quale esiste.