da Il Messaggero
«Salvini ormai dice la qualunque, è disperato. Ma lo capisco, poveretto: ha sfiduciato il suo governo, le elezioni che credeva a portata di mano sono ormai una chimera. E ora probabilmente resterà ai margini di tutto fino al 2023. Mi dispiace per lui. Ma non sarò certo io a lanciargli la ciambella di salvataggio: è sleale e con Salvini ho chiuso. Definitivamente».
Chi in queste ore ha parlato con Giuseppe Conte, ha raccolto questa analisi e questa determinazione a non riprendere «per nessuna ragione al mondo» il rapporto con il leader del Carroccio. Non è perciò un caso che rimbalzi la voce di Salvini pronto a proporre a Di Maio di prendere il posto di Conte.
Il premier, anche se probabilmente è destinato a lasciare palazzo Chigi a meno di un’improvvisa apertura del Pd se dovesse complicarsi oltre misura la trattativa con i 5Stelle, in questa fase è quello che ha il boccino in mano. Sarà lui martedì, dopo le sue comunicazioni nell’Aula del Senato, ad aprire ufficialmente la crisi andandosi a dimettere nelle mani del capo dello Stato.
Oppure sarà sempre lui, due giorni dopo, a fare lo stesso percorso verso il Quirinale (con lo stesso epilogo: le dimissioni). Ma con in più il gusto di aver probabilmente fatto votare alla Lega, come chiedono i 5Stelle, la riforma con il taglio di deputati e senatori: cosa che non sarebbe possibile se scattassero le dimissioni il martedì 20, dato che la crisi bloccherebbe i lavori parlamentari.
Ipotesi-dispetto che a palazzo Chigi non scartano: «E’ plausibile. Conte farebbe un favore ai 5Stelle e spingerebbe Salvini a dare una prova d’amore ormai inutile», spiega un collaboratore del premier, «però per riuscire in questo disegno, la Lega martedì 20 dovrebbe votare insieme ai 5Stelle la risoluzione a sostegno del governo.
Avranno la faccia di fare questo triplo salto mortale, rimangiandosi la mozione di sfiducia che hanno presentato?!». Pausa, ulteriore stilettata: «La coerenza non appartiene a Salvini, ormai è evidente. Ma è nel Dna del presidente del Consiglio. E dunque con la Lega non è più disposto a governare».
Conte lavora in modo autonomo da Di Maio a rompere quel che resta del cordone ombelicale che univa il Movimento a Salvini. E non solo «per mancanza di fiducia». Ma perché non riconosce al capo della Lega il «senso dello Stato». E, come ha denunciato nella lettera aperta pubblicata su Fb a Ferragosto, perché a suo giudizio Salvini intende la politica solo come esercizio del potere, e non come servizio verso il Paese per il quale «serve responsabilità».
Conte, in ogni caso, è destinato a cadere in piedi. E’ vero che il Pd non lo vuole più a palazzo Chigi per «dimostrare una forte discontinuità» con l’esecutivo giallo-verde. Ma è anche vero che per lui il partito di Nicola Zingaretti pensa al prestigioso incarico di ministro degli Esteri.
E, con ancor maggiore convinzione, a quello di commissario europeo. Con un problema: per andare a Bruxelles dovrebbe chiedere una deroga sui tempi, visto che il 26 agosto scade il termine per presentare il nome a Ursula von der Leyen.
Ma, a crisi aperta, la neopresidente della Commissione dovrebbe mostrarsi comprensiva, anche perché non rischierebbe più di trovarsi un commissario leghista nel suo esecutivo.