Come nasce una passione…
…e poi le bollette sul tavolinetto basso, chissà di che anno sono, quelle piccole cornici quadrate con foto di famiglia sul piano della libreria, foto che a volte trovi nei mercatini dell’usato d’epoca insieme a cucchiaini d’argento spaiati e tabacchiere che hanno visto tempi migliori.
Nel mio caso dovrebbero essere mia nonna e mio nonno, nonni per parte di madre, ma non ne sono sicuro, non mi riconosco in loro, magari appendo al muro due sconosciuti.
Un calendario 1975 di David Hamilton a cui devo ancora trovare una collocazione adeguata da allora, da quando lo presi a Parigi.
Quante volte ho scelto la parete che mi sembrava quella giusta ma dove già c’era un quadro appeso.
Spostare quest’ultimo sarebbe stato devastante.
Sembrava già rimproverarmi:
«Sono stato qui tutto ‘sto tempo, perchè togliermi? Perchè proprio me?»
Delle diapositive di famiglia da catalogare in un angolo della scrivania, scatoline su scatoline su scatoline con scritte veloci anno e luogo con grafia incerta di chi usa ormai solo il computer.
Ma ce ne sono anche di quelle senza scritte.
Sono queste a bloccarmi.
Sono queste che non mi permettono di superare il momento del “comincio”.
Il mistero delle foto senza scritte mi dilania.
Chi c’è in quelle foto.
Dei moduli da riempire per cambiare utenza, e ancora documenti, lettere, foto, un orsetto preso a Berlino non ricordo quando e non ricordo neanche di esserci mai stato, l’avrò preso in un sogno.
Oggetto e oggetti che fremono, che chiedono una collocazione, rotoli di poster di Buster Keaton, Kennedy, la Marilyn, il Che, Chaplin…
Ci guardiamo giorno dopo giorno, quadri da appendere, genitori ormai defunti che aspettano che io li metta in cornice in salotto per pavoneggiarsi agli occhi dei miei amici, quei pochi che restano.
Tutto lì, ad un passo da me, scrivania, tavolinetto basso, piano della libreria, delle maglie sdrucite su una poltroncina sgraziata che chiede pietà, ci guardiamo da anni.
Articoli di giornali, critiche da tramandare ai figli, ai nipoti che forse non si riconosceranno in me e non appenderanno mai un mio ritratto e non leggeranno mai quegli articoli…
… e così il tempo passa, io invecchio…
Tutto invecchia intorno a me… e fra un po’ non ci sarò più e quelle bollette e quadri e moduli e oggetti vari saranno ancora lì ad aspettare una loro collocazione in un mondo che non ci sarà più…
…e non ci sarà più quel ragazzino che mi sorride da una piccola foto ancora da incorniciare…
Sono io, a quell’epoca nasceva la mia passione…
Un’infanzia passata nel “golfo mistico”, fra oboe clarinetti violoncelli tube timpani, spartiti, ecc….
…e soprattutto accanto a mio padre, violinista, Adelchi.
Amava dire di sé che per sopravvivere lavorava come impiegato al comune, per vivere… suonava il violino.
Quando le compagnie venivano in tournée nella mia piccola città, l’antica Teate, Chieti, mio padre veniva chiamato a completare l’organico delle orchestre che in genere portavano pochi elementi, per via della diaria, e gli altri strumentisti venivano presi sul posto.
Un piacevole groviglio di emozioni e di ricordi.
Dietro le quinte, fra scenografie da favola, alla scoperta di un mondo fantastico.
Parrucche e gorgheggi, sorrisi e colori e musica e alberi e case di cartapesta…un mondo fatato dove tutto era possibile.
E zia Ofelia, che ci portava regolarmente al Teatro Marrucino me e le cuginette, e suo marito che ne era il direttore artistico, zio Ulrico Falcocchio, grande affabulatore, raccontatore di storie vere e di fantasia, come gli girava.
Aveva una bella voce lo zio Ulrico, che nome, aveva fatto anche l’attore in gioventù, almeno così si pavoneggiava la zia, moglie devota.
Ed era un gran lettore di racconti, sere dopo sere, sapeva impersonare i vari personaggi.
La sua specialità erano i romanzi di Salgari e noi bambini tutt’intorno ad un enorme braciere di rame con bordi d’ottone nelle gelide notti d’inverno, quando nevicava e si mangiavano salsicce di fegato rosolate croccanti al tegamino con contorno di broccoletti ripassati in padella ajo ojo e peperoncino…
E una sera, mentre un affiliato della setta assassina dei Thugs stava per sferrare una coltellata all’intrepido Yanez sorpreso in un vile agguato, la più piccola delle cuginette, sarà stata l’emozione del momento, finì di culo nella “vragia” ardente, bragia in italiano…AHIAAAAAAAAODDDIOOOO!!!
Le urla si sentirono fino alla villa comunale e dire che noi abitavamo dall’altra parte della città, all’inzio della discesa del Gas, che in realtà si chiamava Salita del Gas, dove all’incrocio con via Tricalle, al vecchio abbeveratoio dei cavalli, nelle notti di luna piena si radunavano tutti i lupi mannari della zona..
A fare cosa mio nonno non ha mai chiarito, scivolando via sulle fattezze dei lupi dall’orrido pelo lungo e urla bestiali…era lui, il padre di mia madre, a raccontarmi ‘ste cazzate che terrorizzarono gli anni felici e spensierati della mia prima giovinezza…già tormentata di suo, con quella paura di restar cieco, almeno così minacciava don Alberto dietro la grata del confessionale…
Nonno giurava e spergiurava di averne visto uno e di aver lottato con lui fino a metterlo in fuga…mio nonno aveva messo in fuga un lupo mannaro…bàh…storie di altri tempi…
Nel caso della cuginetta fu uno dei primi interventi di gluteoplastica al mondo per rimodellarle le chiappette.
Le presero la pelle da un braccio se non ricordo male…peggio di un agguato dei Thugs da come l’immaginavamo noi…scorticata viva…
A mio padre Adelchi…
…alle opere che ho visto, dal melodramma alle commedie alle operette, e poi ai varietà lustrini cosce e paillettes, a zia Ofelia, zio Ulrico, al Teatro Marrucino, ai lupi mannari, devo la mia passione per lo spettacolo.
Ecco chi sono…Luciano Odorisio
E in un montaggino veloce del bravo Emiliano Trapes…
L’8 Luglio pubblico, anche on line, per la casa editrice Il Viandante Edizioni, “Non invecchieremo mai”, una raccolta di racconti, date un’occhiata al trailer:
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