di Carlo Tecce per Il FQ, 13-11-19
“Il Papa andrà all’inferno”.
Il duello di carta incarta da sempre la Chiesa.
E l’ultima rivolta contro Francesco, su sfondo dottrinale, avviene per mezzo di una lettera tradotta in sette lingue e firmata da un centinaio di cattolici – sacerdoti, filosofi, studiosi e nobili – non certo progressisti né devoti al pontificato di Bergoglio.
Il testo conquista clamore mediatico perché scaglia accuse severe a Francesco: è colpevole di sacrilegio – dico – no – per l’adorazione di Pachamama, una divinità pagana, durante una funzione al recente sinodo sull’Amazzonia.
Cioè le stesse statuette che un ragazzo austriaco ha gettato nel fiume Tevere.
AL PAPA È IMPUTATA anche l’adesione a un documento sulla fraternità con il Grande Imam della moschea di Al-Azhar.
Con risolutezza, gli scriventi condannano Jorge Mario Bergoglio, il pontefice peccatore, alla dannazione eterna per aver infranto il primo comandamento – non avrai altro Dio all’infuori di me – e lasciano sul baratro degli inferi tutti i fedeli che non si dissociano.
Oltre l’involontaria comicità, questo vuol dire scisma per la Chiesa o qualcosa di simile. E il Vaticano l’ha presa sul serio.
Tant’è che la risposta si trova sull’Osservatore Romano, il quotidiano ufficiale della Santa Sede, e si compie con un intervento di monsignor Felipe Arizmendi Esquivel, un vescovo messicano: “È una grande impudenza condannare il Papa come idolatra, perché non lo è stato né lo sarà mai. Non c’è stato alcun culto idolatrico. Sono simboli di realtà ed esperienze amazzoniche, con motivazioni non solo culturali, ma anche religiose, ma non di adorazione, perché questa si deve solo a Dio”.
La lettera è impreziosita da nomi di rilievo negli ambienti conservatori della Chiesa, come lo storico Roberto de Mattei, il teologo Brian W. Harrison o la principessa tedesca Gloria Thurn und Taxis, amica di Alessandra Borghese e di monsignor George Ganswein, ancora il principale collaboratore di Joseph Ratzinger, l’anziano papa emerito che viene usato per screditare Bergoglio.
I CENTO RIBELLI, per dare sostanza all’invettiva, indicano i loro idoli, quelli che contestano Francesco: i cardinali Brandmüller, Urosa Savino, Müller, Burke; i vescovi Viganò, Azcona Hermoso, Schneider, Voderholzer, Eleganti.
E poi aprono un sito, registrato lunedì in Canada da un committente che ha deciso di celare la propria identità.
I cento chiudono la lettera – in serata condivisa anche da Viganò, l’ex nunzio a Washington che lo scorso anno chiese le dimissioni di Francesco – con un doppio appello.
A Bergoglio: “Chiediamo di pentirsi pubblicamente e senza ambiguità, di questi peccati oggettivamente gravi e di tutte le trasgressioni pubbliche che ha commesso contro Dio e la vera religione, e di riparare questi oltraggi”.
Al clero: “Chiediamo a tutti i vescovi della Chiesa cattolica di rivolgere una correzione fraterna a papa Francesco per questi scandali, e di ammonire i loro greggi che, in base a quanto affermato dall’insegnamento della fede Cattolica divinamente rivelato, se seguiranno il suo esempio nell’offesa contro il primo comandamento, rischiano la dannazione eterna”.
Un’azione stravagante con radici in quel pezzo di Chiesa che non ha mai accettato Bergoglio e si alimenta tra i nostalgici di Ratzinger.
Il duello di carta e non solo di carta arriva in superficie.
E fa un po’ spavento.