CASALINO E IL RAPPORTO DEFICIT/PIL:
LA QUESTIONE E’ UN’ALTRA
Com’era ovvio che fosse, il Def del Governo ha scatenato la guerra delle cifre: alla maggioranza piace, all’opposizione no. Ma fin qui niente di strano, è il solito gioco (imbecille) delle parti.
La differenza questa volta la fa il contorno, ovvero tutta quella roba inutile che viene riversata sul tavolo della discussione: le previsioni catastrofiste del Pd, le dichiarazioni irresponsabili di qualche zelante funzionaricchio come Cottarelli, i moniti di Juncker e via dicendo.
L’unico a non essere una sorpresa è il Pd: certa “sinistra” (se così si può definire il Pd) ha sempre avuto la mania del catastrofismo quando al Governo ci sono gli altri. Alle brutte tira fuori la parola magica “fascismo” e automaticamente si ritrova seduto col teletrasporto al tavol.o della ragione.
Quindi il Pd è ok, ma gli altri come mai si danno tanto da fare?
E be’, cari venticinque lettori, la posta in ballo è alta, e va ben al di là del rapporto Deficit/Pil di cui non frega una mazza a nessuno e che conta come il due di coppe a briscola.
La vera posta in palio sono le Elezioni Europee del 2019, forse le prime vere elezioni da quando si vota per l’Europarlamento.
E l’importanza, prima ancora che politica, è un’importanza matematica. E vediamo perché.
Innanzitutto perché c’è stata la Brexit e il numero dei Parlamentari è sceso da 751 a 705.
Questo vuol dire che mancherà all’appello tutto il corpaccione elettorale britannico, sia Lib che Lab, a dare manforte a quelle forze “di sistema” come il PPE, il PSE e ALDE che al momento, da soli, contano 276 parlamentari. Gli Inglesi non sono ovviamente tutti schierati con queste forze, che però ne escono indebolite, soprattutto il PSE che perde 20 membri.
Vale ricordare inoltre che sebbene la rappresentanza comunitaria non sia su base nazionale ma partitica, il Regno Unito era il quarto Paese più rappresentato dopo Germania, Francia e Italia. Con tutte le conseguenze del caso sulle scelte politiche e le prospettive di dibattito.
Difficile inoltre immaginare che PPE e PSE possano compensare negli altri Paesi le perdite di consenso. In Italia il Pd, che aderisce al PSE, con ogni probabilità non rieleggerà lo stesso numero di eurodeputati e altrettanto dicasi per “Forza Italia”, mentre invece Lega e Fratelli d’Italia daranno fiato alle trombe di quelle formazioni, oggi all’opposizione spalmandosi tra ECR, EFDD ed ENF, catalogabili in quel range che va dall’area moderata/conservatrice a quella dell’estrema destra.
Resta da capire cosa farà il M5S e a quale gruppo vorrà aderire.
Un’ondata “populista” insomma sta per abbattersi su Bruxelles, e l’Italia con il suo reddito di cittadinanza e flat tax darà una bella spallata (se Renzi con 80 euro si era comprato il 40% degli elettori, vi immaginate cosa accadrebbe col reddito di cittadinanza?).
La Francia dal canto suo darà anche una bella mano. Macron è in caduta libera nei sondaggi e, nonostante la vittoria alle elezioni, resta pur sempre un Paese diviso a metà con il fronte lepenista. Sulla Grecia allineata e coperta con i poteri che l’hanno strangolata non ci si può giurare, salvo una collettiva sindrome di Stoccolma.
E in Germania, che pure dall’Europa ha tratto i suoi vantaggi, le recrudescenze sovraniste hanno il loro spazio, tanto più che l’AFD, il partito di estrema destra tedesco, è risultato il primo nei sei land della ex DdR.
In sintesi: l’Italia con il suo Governo (e 72 deputati da eleggere) reciterà un ruolo di primo piano nella riconfigurazione dell’Europa che verrà ed è ovvio che gli avversari, ora al Governo di Strasburgo, remino contro.
E’ propaganda. Il rapporto Deficit/Pil non c’entra una mazza.
Antonio Valenzi