Virginia Piccolillo per il “Corriere della sera”
Era notte fonda quando martedì Carola Rackete ha attraversato Licata fra misure di sicurezza straordinarie. I turisti raccontano della strada chiusa per venti minuti come non era mai accaduto prima.
Lei scortata fino al cancello celeste della Guardia Costiera, e poi sulla banchina di destra del porto, dove è ormeggiata la Sea Watch 3 ancora sotto sequestro. La gioia, gli abbracci vigorosi del suo equipaggio.
E qualche lacrima di commozione. Da loro si fa vedere. Non è più camuffata, come quando è uscita dall’ appartamento di Agrigento, dove ha trascorso gli ultimi giorni degli arresti domiciliari.
Senza uscire nemmeno sul balconcino alla notizia della revoca dei domiciliari, nemmeno per salutare i sostenitori che avevano preparato uno striscione e un mazzolino di fuori rosa e hanno gridato «Carola», per ore, invano. Alla fine le hanno lasciato lo striscione ben ripiegato con il fiore adagiato sopra, fuori della porta.
Poi una lunga telefonata con il padre che riferisce: «La prima cosa che vuole mangiare quando torna è qualcosa di vegetariano».
Al Der Spiegel il papà della comandante aggiunge: «Carola è molto di buon umore. Capisce molto gli agenti di polizia italiana che sono stati molto disponibili con lei e molto gentili». E fa saper che adesso lei «è da un’ amica in Italia anche lei attivista dell’ ong Sea Watch». Secondo il padre, Carola «vuole sicuramente rimanere in Italia fino alla seconda udienza e dopo sicuramente tornerà».
Lei scherza: «Forse è il caso di emigrare in Australia per tornare a occuparmi di albatros».
Battuta colta al volo dal ministro dell’ Interno Matteo Salvini: «Sono pronto a pagarle il biglietto di sola andata».
Ma non è uno scambio di toni scherzoso quello che si accende sulla pronuncia del giudice Vella.
Volano parole grosse. E, secondo quanto lamentano dalla Sea Watch, anche minacce a Carola.
La capitana, dicevamo, ha passato parte della notte sulla banchina e all’ alba è sparita.
I suoi compagni di viaggio fanno capire che è partita, aprendo le braccia a mo’ di aereo, mentre mangiano patatine fritte e gelati, nei bar del porto.
Qui li conoscono tutti. Ai tempi del primo sequestro della Sea Watch li avevano visti uscire dalla nave e fermarsi a bere una birra, o mangiare qualcosa.
«Gentili, educati», dicono a Licata. Anche Carola era spesso con loro. E di lei riferiscono di quello sguardo determinato e forte. Quel carattere decisionista che l’ ha spinta anche a forzare i divieti e sbarcare i migranti a Lampedusa.
L’ arresto per aver violato il blocco e investito la motovedetta della Guardia di Finanza non è stato convalidato.
E l’ espulsione, auspicata dal vicepremier e disposta dal prefetto di Agrigento, non ha ottenuto il via libera dei magistrati. Carola dovrà prima essere interrogata il prossimo 9 luglio (ma la difesa medita di chiedere un rinvio) per l’ altro filone d’ inchiesta: quello sul favoreggiamento dell’ immigrazione clandestina.
Intanto la sua scarcerazione viene agitata come una bandiera dalle ong che si dicono pronte a tornare a salvare naufraghi.
Lei chissà.