Giancarlo Perna, al vetriolo, per “la Verità”
“Più che alla fama di giallista, la notorietà del magistrato scrittore pugliese, Gianrico Carofiglio, è dovuta al fatto di essere spalla televisiva di Lilli Gruber.
I due si puntellano a vicenda e sprizzano complicità da ogni fibra. Carofiglio si pavoneggia anche in altri talk show – da Massimo Gramellini a Giovanni Floris – ma dà il meglio di sé a Otto e mezzo.
Lilli e Gianrico sono affini.
Sono entrambi fieramente di sinistra, ai limiti dell’ agit prop.
Hanno come faro il Pd di cui Carofiglio fu senatore dal 2008 al 2013 e per amore del quale lasciò la magistratura.
Sono tutti e due portati a massacrare il detestato di turno con l’ aria salottiera di chi annega una mosca in un calice di cognac.
Oggidì, la loro idiosincrasia è riservata a Matteo Salvini.
Quando decidono di mazzolarlo, Gruber trasforma la trasmissione in un mattatoio a luci soffuse.
Le cose vanno così.
Lilli accenna a qualche magagna del ministro dell’ Interno.
Lancia un’ occhiata a un ospite a caso, poniamo il direttore dell’ Espresso, Marco Damilano, che sorride consapevole di essere una comparsa.
Poi, si rivolge a Carofiglio, suo beniamino.
Col timbro assassino di chi si aspetta da lui una bella mazzolata nello stile elegante della casa, ingiunge: «Lei che ne pensa, Carofiglio?».
L’ interpellato, un quasi sessantenne con barba di 3 giorni e il viso spirituale, se non fosse per due occhi da lenza, dà inizio a una manfrina al fiele.
«C’ era un signore», esordisce «frequentatore di spacciatori condannati che dichiarava che l’ Ue si sarebbe fatta una ragione della manovra italiana».
Gruber interviene: «Allusione al ministro Salvini, poi ne parleremo».
Carofiglio, come un orso ammaestrato: «Volentieri, così potrò fare un’ analisi prossemica del signore amico, ripeto, di pluripregiudicati».
Lei, dosando i tempi televisivi: «Ci arriviamo».
SUPPONENTE CIPIGLIO
Interrompo la pantomima per un paio di annotazioni.
Prossemica, significa analizzare un tizio sulla base di gesti e comportamenti. Vediamo di fare un po’ di prossemica su Carofiglio.
Avrete notato che attacca Salvini senza nominarlo.
Per non abbassarsi, ovviamente. Tipico espediente piddino.
Lo usò Walter Veltroni, di cui Carofiglio è tributario, contro Silvio Berlusconi.
Per l’ intera campagna elettorale 2008, Walter non pronunciò mai il nome del detestato Cav, sostituendolo infantilmente con, «il principale esponente dello schieramento a noi avverso».
Non vi sarà inoltre sfuggita l’ insistenza dell’ ex magistrato nell’ insinuare un’ immagine criminale di Salvini come amico di gentaglia.
Pare si riferisca a dei supporter del Milan, squadra di calcio di cui Salvini è tifoso, che, fatta qualche sciocchezza e pagato il conto con la giustizia, si danno pacche sulle spalle col ministro nei raduni tra fan.
Embè?
Non credo che Carofiglio, uomo di legge, abbia stretto nella sua vita solo mani incensurate. Io, nella mia, facendo il giornalista, ho abbracciato fior di condannati, commuovendomi per i loro destini e mantenendo fermi antichi affetti.
Carofiglio è autore di successo da quasi 20 anni.
Per assecondare questa passione, dopo la parentesi politica che gli è servita da pausa di riflessione, ha lasciato la magistratura e si è mantenuto solo scrivendo.
Ha creato un ciclo di legal thriller all’ americana con protagonista un avvocato, Guido Guerrieri, suo alter ego, chic e nevrotico, degustatore di sushi e, presumo, elettore del Pd.
Primo editore è stato Sellerio, seguito da Rizzoli e oggi Einaudi, della galassia editoriale del Berlusca.
Figura di cui un tempo Gianrico ha scritto peste e corna, considerandola orrida.
Oggi, non più. La sua opera è diffusissima. Si parla di 5 milioni di copie vendute e di traduzioni in 28 lingue.
Del tutto comprensibile, perciò, che il Nostro si sia montato la testa, come indica il seguente episodio.
Nel 2012, l’ editor Vincenzo Ostuni, parendogli immeritato il terzo posto al Premio Strega di Carofiglio con Il silenzio dell’ onda, commentò lapidario: «Letterariamente inesistente, scritto con i piedi da uno scribacchino senza un’ idea».
Gianrico lo querelò chiedendo 50.000 euro di danni. Al che, mezzo mondo letterario abituato da secoli a darsele di santa ragione senza finire in tribunale, si indignò.
Il milieu scoprì che in mezzo a loro era capitato un estraneo: un leguleio abituato a regolare i conti a suon di denunce.
A Roma, una cinquantina di autori formò un capannello in strada per autoincriminarsi pubblicamenteleggendo a turno la frase di Ostuni: «Il silenzio dell’ onda è scritto coi in piedi, ecc.».
La cosa però non servì di lezione al nostro Gianrico, né scalfi la sua supponenza.
PARACADUTATO DA VELTRONI
Come anticipato, dopo 20 anni di magistratura, Carofiglio si prese una pausa da politico.
All’ epoca, era nella direzione distrettuale antimafia di Bari, la sua città. Fu Veltroni a offrirgli il paracadute automatico per Palazzo Madama. Accettò entusiasta per dare, come disse, un «contributo di idee».
Fu dunque eletto a Bari andando così contro un principio da lui enunciato quando il collega, Michele Emiliano, pm pure lui, divenne sindaco della città (2004).
«Ho molti dubbi», disse nella circostanza, «che un magistrato possa fare il sindaco nel luogo dove ha esercitato l’ azione giudiziaria».
Il sindaco, no e il senatore, sì? Vattelapesca.
LO SCOGLIO PRIMARIE
Fatta una sola legislatura, Carofiglio non si presentò all’ elezione successiva.
Forse era già entrato nell’ idea di vivere di romanzi ma era anche cambiato tutto attorno a lui. Infatti, non poteva più appollaiarsi su Veltroni che aveva nel frattempo abbandonato la politica.
Avrebbe dovuto perciò affrontare da solo le primarie che presuppongono un potere locale e voti propri.
Gianrico non aveva né l’ uno né gli altri. Fece allora come la volpe con l’ uva e tacciò le primarie di «falsa democrazia».
Lasciò così il Senato ed entrò nel salottino della Lilli conquistando il fantastico privilegio di diventare con le chiacchiere un venerato maestro.
Da ragazzino, come lui stesso ha raccontato, si sentiva un anatroccolo nonostante appartenesse a una famiglia di notabili: mamma scrittrice, padre ingegnere e docente di scienza delle costruzioni, il fratello minore, Francesco, genietto precoce, futuro architetto e autore di graphic novel.
Bravo studente, Gianrico era però una frana sportiva, tanto che l’ insegnante di educazione fisica lo avvertì:
«Ti do 7, solo perché non c’ è un voto più basso, ma non lo meriti».
Fu tale l’ umiliazione che pianse a dirotto e mise in croce la mamma perché lo iscrivesse a corsi supplementari di ginnastica.
Per 6 mesi, salì la corda, saltò alla cavallina, fece gli anelli e il quadro svedese.
A giugno, fu tra i migliori della scuola.
MEGLIO ANDARCI D’ ACCORDO
Sull’ abbrivio, divenne nuotatore, prese a pugni malintenzionati e fascisti, divenne specialista di arti marziali.
Fu campione locale di karatè e campione nazionale a squadre.
Oggi, è cintura nera quinto Dan.
Come dire, meglio andarci d’ accordo.
All’ origine, sempre a sentire lui, era pure goffo con le ragazze.
Poi, a furia di muscoli, la metamorfosi. Innamorò di sé una collega magistrato, Francesca Romana Pirrelli, grazioso pm somigliante in biondo a Geppi Cucciari e ne ebbe due figli.
Oggi poi, con la fama alle stelle, il suo fascino tracima. Pare che buchi lo schermo e inquieti tra le mura domestiche il pubblico femminile.
Così, da toga austera che fu, rivaleggia adesso con Raoul Bova.”