«Sul palco ho dato tutto.
Vivevo per lo spettacolo, non pensavo ad altro, recitavo pure con la febbre a 40 perché a teatro può anche essere morta tua madre un minuto prima, ma in scena devi andare comunque.
Poi un giorno, alla fine di una faticosa tournée, visto che io non riuscivo a farlo, a reagire e a dire basta fu il mio corpo.
Sentivo il cuore dappertutto.
Nella pancia, nelle gambe, nelle caviglie.
Avrei dovuto fare la cura del sonno. Io buttai pasticche, bambino e acqua sporca e mi allontanai dal mio mondo.
Prima per un anno, poi per sempre.
Senza annunci pubblici e senza mai avere la tentazione di tornare indietro.
Avevo finalmente scoperto che la vita era altro e che avevo bisogno di viaggiare, scoprire culture diverse o godere della libertà di stare sul divano alle sei del pomeriggio leggendo, fumando uno spinello e ignorando il telefono.
Ogni tanto mi chiedono un’intervista: rifiuto.
Ogni tanto mi invitano a cena: non vado mai.
Un filosofo, Pierre Zaoui, sostiene che sparire sia un atto rivoluzionario.
Ho 74 anni, anche se non si vede so’ vecchia e decrepita, c’è poco da fa’.
Non voglio interpretare un cavolo di niente, non ho ansie, non chiedo nulla.
Da sola sto benissimo. È passata, con la stessa casuale rapidità con cui arrivò.
Mi ha fregato la paura. Ho rinunciato a due film enormi. Louis Malle mi voleva ad ogni costo per “Soffio al cuore”.
Mi avrebbe voluto consegnare la parte toccata a Lea Massari.
Venne a parlarmi, sperò e poi rinunciò. Lo incontrai tempo dopo a Berlino, non mi salutò neanche.
Furono rifiuti complicati i miei. Visti oggi, anni dopo l’addio alle scene, li guardo in altro modo e li metto in relazione con le nevrosi accumulate e la necessità di cercare la vita oltre il palco.
Se non ce la fai ad affrontare una cosa, violentarti è dannoso.
La recitazione è un gesto creativo.
Devi avere la testa, metterci la testa. Inventare. Dimenticare tutto il resto. Un inferno, diciamolo.
Mi superai con Buñuel. Recitare per lui era il sogno della mia vita. Mi presentai alla prova con i capelli corti e dal fondo della sala, il primo giorno, si sentì la voce del regista: “Ma è un ragazzino?”.
Tornai in albergo, il giorno dopo avrei dovuto girare. Venni presa da un’angoscia profondissima e scappai.
Con il mio agente Buñuel fu serafico: “Se riesce a convincere Monica Vitti a fare il film, dimentico questo episodio. Altrimenti la rovino”.
Andai a Roma, mi gettai ai piedi di Monica e lei, ancora non smetto di ringraziarla, accettò.
Potrei tornare al cinema solo se mi offrissero il ruolo di una magnifica, perfida vecchia.
E poi diciamolo, andarsene di propria sponte è stato liberatorio. Mi han sempre cacciato gli altri, a me.
Fin dal “Musichiere” di Mario Riva, dove ero arrivata in ritardo. Mi han sempre sgridata e io non sono una da sgridare.
Non sono mai partita con la pretesa di capire un popolo in un mese, ma con la voglia di annusare, la curiosità, il divertimento di capire chi c’era oltre la siepe.
In Italia i geni sono partiti e sono rimasti i ladri. Sono totalmente pessimista, pensavo che per rinascere bisognasse toccare il fondo, ma ‘sto fondo non arriva mai.
C’è rassegnazione e tanta brutta gente che qualcuno, votando male, nei decenni ha messo al comando di una barca alla deriva.
Ogni tanto vedo un lampetto di intelligenza, ma il lampetto poi si spegne.
Che delusione, gli italiani, porca puttana».